Il nome del negozio proprio l’ho rimosso, ma saprei ritrovarlo a occhi chiusi. Era un piccolo vicolo del centro di Milano, oggi al suo posto ci sarà un appartamento in affitto per turisti, o una qualche sorta di vineria a prezzi esosi, o semplicemente un parcheggio. Ma un tempo era uno dei noleggi di CD più grandi della città, e custodiva un segreto: se affittavi dei CD alla vigilia della chiusura per ferie, potevi tenerteli tutta l’estate a prezzo di un singolo giorno. Fu così che un giorno di luglio di metà anni ’90 uscii con una pila di dischetti metallici sotto braccio, ignaro del fatto che ne avrei ascoltato uno soltanto. Il titolo era “Emperor Tomato Ketchup“, aveva un’orribile copertina giallognola con disegnata una spirale bronzea, un lavoro che a farlo così brutto non ci si riuscirebbe nemmeno con impegno, ma dentro…dentro c’era un suono che non immaginavo nemmeno esistesse, impossibile da collocare nello spazio e nel tempo. E con buona pace degli altri CD, girò nel mio stereo per tutta l’estate, e una volta registrato su cassetta proseguì anche per l’autunno. La mia storia con gli Stereolab cominciò così, senza nemmeno troppo bisogno di proseguire. Era sufficiente. Certe volte la musica non ha bisogno di approfondimenti, ma solo di essere ascoltata, incorporata, ripetutamente. Più di un quarto di secolo più tardi, i noleggi di CD non esistono più, forse nemmeno i CD, ma dopo una storia travagliata, talvolta drammatica, esistono nuovamente gli Stereolab. Hanno un album nuovo di pezzi vecchi, in cui collaborano persino con Nurse With Wound e, dopo 21 anni di assenza, tornano a suonare in Italia, riportando sul palco quel caratteristico non-easy listening che continua a riempire le orecchie e i muscoli. E, anche dopo un viaggio così lungo lungo le rotte cosmiche, sarà ancora un’immersione nel futuro.
Scritto da Filip J Cauz