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ven 10.10 2025 – dom 15.02 2026

Nan Goldin: This Will Not End Well

Dove

Pirelli HangarBicocca
Via Chiese 2, 20126 Milano

Quando

venerdì 10 ottobre 2025 – domenica 15 febbraio 2026

Quanto

free

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Sito web

Nan Goldin, Veiled Woman, 2010. © Nan Goldin. Courtesy Gagosian

Fare finta di nulla è ormai l’attitudine condivisa di oggi in tanti ambiti. Anche nel contesto della cultura. La cultura che, invece, non hai mai fatto finta di nulla. La cultura che ha spesso puntato il dito, indicando ciò che funzionava e ciò che non andava bene per niente. La cultura che, grazie alle visioni e alle azioni delle artiste e degli artisti, ha sempre restituito punti di vista diversi sulle cose, mostrando al pubblico, agli altri, spunti e maniere per affrontare le cose, per pensarle, per sopportarle o, perché no, per cambiarle.

Nan Goldin non fa finta di nulla.

Oggi, che tutto va male, invece di pensare a come fare per cambiare un po’ i percorsi, facciamo finta che sia tutto ok. Nan Goldin non fa finta di nulla. Da quasi dieci anni l’artista, fotografa, regista, attivista, fa rumore e lotta affrontando in particolare una tematica molto urgente, quella dell’assuefazione all’ossicodone e agli oppioidi, ribaltando anche contesti istituzionali e denunciando famiglie dai grandi nomi. Dalla guerra al dolore delle droghe a quella politica che arriva fino a Gaza, tematica che riporta quotidianamente anche sui suoi social.
A Milano la grande mostra personale dal titolo univoco This Will Not End Well. Le opere in mostra non parlano di politica, non ne hanno bisogno: le immagini di Nan Goldin rappresentano la pura poesia del suo sguardo nei confronti dei contesti che ha scelto di indagare, per prima, di documentare. L’approccio affettuoso, delicato, appassionato, reale, nei confronti delle sue eroine e soggetti che solo la raffinatezza di Francesca Woodman su sé stessa, l’erotismo di Bettina Rheims, l’attenzione di Diane Arbus (la lista potrebbe andare avanti, ma non di tanto) hanno lo stesso impatto emotivo.

Qui arriva Nan Goldin, non solo la fotografa che ha dato espressione e voce a un’umanità che ha rappresentato determinati periodi storici e sociali e ambiti che lei mostra intimamente, attraverso una conoscenza che è percepibile, tangibile anche solo attraverso l’osservazione da esterni dell’immagine fotografica. L’amica che ha testimoniato episodi e momenti nelle camere da letto dalle estetiche più variegate (dai letti kitsch con gli specchi e i tendaggi barocchi delle amiche della notte newyorchese; a quelli spogli e dolorosi delle stanze d’albergo a una stella di Brooklyn), degli sguardi più soli o più espressivi di soggetti mai riconosciuti da nessuno, se non da lei, da Nan; o, invece, dei costumi straordinari delle trans dei locali dove solo un certo tipo di America osava andare. La Nan Goldin che Pirelli HangarBicocca mette in mostra è anche quella politica, quell’artista che non ne può più di quello che accade nel mondo. E che, per la notte di apertura, fa proiettare alla parete le diverse immagini tratte dai social che continuamente vediamo che raccontano le donne, i bambini, le famiglie, le bombe, le case distrutte, sulla striscia di Gaza. Una parete nell’immenso spazio di Hangar che è stato frammentato dall’artista, insieme all’architetta Hala Wardé e a Mark Davis (HW architecture), creando dei padiglioni, ognuno di colore diverso, da cui il pubblico accede passando per un corridoio stretto, per poi immergersi nell’osservazione dei montaggi fotografici, accompagnati da musica. Da questo momento in poi è fatta: sono le fotografie di Nan Goldin che predominano. Non conta più il contesto, o chi si ha accanto. Valgono solo le immagini, i soggetti, la frammentazione dei sensi che ogni scatto rappresenta. Ogni padiglione racconta un capitolo, un corpo di lavoro dell’artista. A volte alcune immagini si ripetono: sono trasversali e congeniali per il passaggio da un racconto all’altro. Il primo grande nucleo è dedicato a The Ballad of Sexual Dependency (1981-2022), un’opera che a Milano era stata installata alla Triennale. Era la prima volta che, in Italia, le opere di Nan Goldin venivano montate in un video con una serie di brani sonori scelti dall’artista. Il secondo nucleo è Memory Lost (2019-2021) che Nan Goldin considera opera fulcro della sua ricerca (se non si è visto All the Beauty and the Bloodshed, il film di Goldin che, nel 2022, ha vinto il Leone d’Oro al Festival del cinema di Venezia, allora provvedete); poi Sirens (2019-2020), dedicato a una tematica molto urgente nella ricerca dell’artista e attivista (proprio per questo motivo) Goldin, quello delle droghe. Le immagini qui sono un omaggio a Donyale Luna, la prima modella nera scomparsa nel 1979 per l’eroina, leit motiv di questo carosello; il quarto padiglione mostra, sempre con quel piacevole accompagnamento (a fine e inizio) del rumore della pellicola che viene interrotta e ripresa, Fire Leap (2010-2022). Qui i protagonisti sono i bambini. Il quinto capitolo della mostra di Hangar è The Other Side (1992-2021), dove sfilano, da un’immagine e l’altra, alcune delle figure iconiche fotografate dall’artista. Anche le canzoni che accompagnano le immagini sono iconiche, da Aznavour a Marianne Faithful. E mi piace pensare che questo titolo abbia anche un riferimento a quel “Wild Side” che profetizzava Lou Reed, di cui Nan Goldin fa parte. La Stendhal Syndrome (2024), capitolo sei, è un’opera recente in cui la fotografa unisce il suo amore e studio dell’arte classica con i suoi scatti. Qui vediamo le pose dei suoi soggetti, da quelle più erotiche o affettuose, ai ritratti fintamente casuali, in dialogo con alcune formalizzazioni di pitture e sculture di stampo moderno. Narciso, Athena, Diana… gli antichi miti ritornano nel quotidiano di Nan Goldin. Capitolo otto, You Never Did Anything Wrong (2024) girato in super8 e 16mm e dedicato all’eclissi lunare. Ancora un tema simbolico. E poi, in chiusura quasi teatrale e visibile da una struttura che porta lo spettatore a una visione da stadio, Sisters, Saints, Sibyls (20024-2022), un’ode a Barbara Holly Goldin, la sorella maggiore dell’artista, a cui il film vincitore a Venezia è dedicato. Questo girato è accompagnato dalla prima scultura dall’artista, un lavoro iper realistica di una donna che giace in un letto, alla mercé di tutti. Sembra vera.
Viva Nan Goldin e le sue immagini.

Scritto da Rossella Farinotti