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mar 04.07 2017 – dom 24.09 2017

Agnetti. A cent'anni da adesso

Dove

Palazzo Reale di Milano
Piazza Duomo 12, 20122 Milano

Quando

martedì 04 luglio 2017 – domenica 24 settembre 2017

Quanto

free

“Quando mi vidi non c’ero”. Agnetti, in questo assioma/autoritratto, sintetizza quel pensiero un po’ nichilista, pessimista, che ricorda Sartre, e che risulta ancora molto contemporaneo. È un pensiero che rimanda a una narrazione visiva, a un’immagine chiara e semplice, quella dell’io – me lo immagino allo specchio – che non si riconosce. Perché non c’è. Questa frase racchiude la raffinatezza linguistica di un artista che, a fine degli anni ’60, ha iniziato a sviluppare un discorso artistico unico e autonomo dopo aver praticato un percorso critico. Vincenzo Agnetti infatti inizia a produrre assiomi, opere installative, performance, sculture, fotografie, libri… dopo un ampio studio e conoscenza del sistema dell’arte che gli stava intorno. Poeta, scrittore, performer e viaggiatore – nel 1962 si trasferisce in Argentina, per lavorare per una società di telecomunicazioni, dove rimane per un periodo che definisce di “arte No. Di assenza” – è un attento scrutatore e frequenta amici come Manzoni e Castellani, con i quali pubblica degli scritti su Azimuth. La scrittura e la poesia di Agnetti anticipano di quell’universo linguistico che elabora fino all’anno della sua morte, il 1981. AGNETTI. A cent’anni da adesso è una rassegna antologica, curata da Marco Meneguzzo con l’Archivio Vincenzo Agnetti, che non segue un ordine cronologico, ma “sentimentale” per delineare la produzione di “un rappresentante straordinario del concettuale lontano dalla tautologia americana, e poi da quella europea”. Agnetti non ti racconta, alla Kosuth, che A è uguale ad A., ma supera quel confine comprensibile. “Chi entra esce”, le quattro icone a cui accosta altrettanti verbi – prendi pensa pesa usa – in XIV-XX. Gli evangelisti (1972), quelle “comete”, segni nere tracce di un passato, l’Autotelefonata (1972) in cui l’artista parla con sé stesso, non ti raccontano la realtà così come è, ma sono tautologie, contraddizioni e paradossi che svelano un’intimità diretta e pura sotto diversi punti di vista e attraverso una sperimentazione senza posa. Quella stessa sperimentazione che porta l’artista milanese a sostituire, in La macchina drogata (1968), i numeri con le lettere dell’alfabeto, da cui nascono frasi assolutamente non sense, che rimandano a una narrazione fuori da ogni sistema. In questa mostra a Palazzo Reale viene dunque sviluppata un’analisi critica dell’opera di questo artista che tra equilibrio instabile e pensieri di matrice esistenzialista risulta ancora molto attuale. Una fonte sicura di riflessione.

Scritto da Rossella Farinotti