Cominciamo con una definizione che è tutto fuorché semplice: spazi ibridi. Se ne parla, ma non abbastanza. E forse proprio perché non si sa mai bene dove collocare l’aggettivazione. Cos’è uno spazio ibrido? Uno spazio ibrido è uno spazio che esiste in tante forme quante sono le forme d’uso e d’abitare che vi si collocano. In sostanza, ci fate tante cose e ce ne trovate altrettante.
Sveliamo le carte e ribadiamo un piacere smodato nel dirvi che questi luoghi “ibridi” sono innanzitutto territori vivaci, calderoni in cui transitano e si aggregano le sinergie dei dintorni. Insomma, lo spazio ibrido è quando un caffè è anche una libreria. Ma anche quando un giardino è condiviso, come l’interno di una casa a ringhiera, e allora si fa il cinema. Si fanno concerti, si organizzano contest di milonga pazzeschi e intragenerazionali. Si lavora per fare comunità. Si fa coworking e sharing economy – scevri dalle dinamiche commerciali ma inseriti in una geografia umana. In poche parole, ci si aiuta. E quello che si fa, lo si fa per divertirsi e implementare lo spazio sociale per come lo si vorrebbe, assieme.
Ogni quartiere ha il suo: luoghi in grado di riposizionare la nozione di spazio pubblico contro lo spazio privato.
Che dire, sono spazi sereni, ed è una serenità mantenuta facendosi in quattro. Facendosi il culo. In cui si va principalmente per stare insieme tra amici e conoscenti, molto spesso radicati nel quartiere. Sono luoghi che alla base hanno un’idea di bien vivre che, se vogliamo lanciarla alta, avrebbe soddisfatto personaggi del calibro di Ivan Illich quando imbastiva i presupposti per una critica radicale all’uso degli strumenti e dello spazio. Insomma, qui trovate tutto: dal cinema, come al Nuovo Armenia a Dergano, ai concerti alle talk fino ai format di dibattito, alle milonghe e alle balere, alle feste dell’unità alle sagre fino ai festival di quartiere. Si studia, si lavora, si fa scuola di cucina e di lingua, come al Laboratorio Antropologico del Cibo al Giambellino. Si fanno workshop di ciclofficina ed educazione alla mobilità sostenibile come al Circolo IAM con la Ciclofficina Pontegiallo, teatro e comunicazione allo Spazio K, autocostruzione ai Giardini Lea Garofalo in Sarpi; si ragiona paesaggio e l’ambiente tra i panorami del Parco Agricolo Sud con Terzo Paesaggio o con Foodfarm, la prima agroforesta meneghina. O ancora Cascinet, con i progetti rigenerativi realizzati assieme alla cittadinanza o i progetti di ruralità urbana a Cascina Cuccagna. Poi gli storici, i primi della città: BASE, Stecca 3, i luoghi di Mare Culturale Urbano. Questi ultimi poi sono quelli che si sono più spesi per istituzionalizzare questo dittico di parole in città, Spazio Ibrido: “Luoghi del welfare di comunità per la città e i territori di prossimità“.
Insomma, ogni quartiere ha il suo, forse perché questi spazi si fanno innanzitutto di aggregazione e cooperazione, e si rivelano sempre più in grado di riposizionare la nozione di spazio pubblico contro lo spazio privato. E a ricordarci che lo spazio è un fenomeno, mica una categoria, e all’alba dell’inizio della modernità cominciamo ad accorgercene. Lo spazio si fa. Tra autan, sorrisi e una tracotante voglia di fare per bene e divertirsi.