Pochi giorni prima dell’apertura di miart a Milano arriva la personale di Jimmie Durham, a cui siamo affezionati innanzitutto perché si tratta di un artista dal grande valore intellettuale, con un passato da attivista e un’impressionante profondità di pensiero (come dimostrano i suoi scritti), ma anche perché nel 2011 è stato l’autore della terza edizione di CUJO (l’art magazine di ZERO), a cura di Andrea Lissoni. Noto per le sue riflessioni sul tema dell’identità culturale, ha sbattuto in faccia all’occidente tutti gli stereotipi visivi con cui siamo abituati a pensare all’arte tradizionale degli indigeni americani, dalle mutande di Pocahontas (Pocahontas’ Underweare del 1985) ai teschi colorati con fogge tribali e ci ha ricordato più volte che la storia non ha un’unica interpretazione. Si è poi scagliato contro la monumentalità e lo ha fatto ancora con il suo modo ironico, schiacciando automobili e aeroplani con massi enormi, come dimenticarlo poi nella performance del 1966 in cui prende a sassate un frigorifero (Stoning the Refrigerator)? Un’architettura antimonumentale è poi quella espressa dai suoi archi di trionfo personali, strutture esili e realizzate assemblando materiali di gran lunga meno eterni della pietra (come il legno). Alla Fondazione Adolfo Pini, con la curatela di Gabi Scardi, realizza un intervento legato agli spazi che lo ospitano, riflettendo ancora una volta sull’architettura, destrutturandone la monumentalità attraverso lo svelamento di ciò che sta sotto al suo rivestimento. In mostra ci sarà anche The Man Who Had A Beautiful House, un video del 1994 girato da Maria Thereza Alves (artista e compagna di Durham) che racconta un abitare lontano da quel sistema architettonicamente ordinato a cui siamo soliti pensare.
Opening: 9 aprile, ore 18:00. Orari di apertura: lunedì – venerdì ore 10:00-13:00 e 15:00-17:00.
Scritto da Angela Maderna