Già presentato fuori concorso a Cannes 2016, quest’ultimo lavoro del catalano Albert Serra racconta gli ultimi giorni di vita del Re Sole.
Colto da un dolore a una gamba che poi degenererà in cancrena, Luigi XIV è costretto a letto, circondato da medici e servitori, pubblico inerme di uno spettacolo inevitabile, il cui proscenio sarà, per tutta la durata del film, la stanza del morente.
Utilizzando un chiaroscuro al lume di candela, intimo e cupo quanto lo può essere un dipinto fiammingo, Serra ci mostra senza pudore il corpo in decomposizione del più grande sovrano di Francia, quasi a volerci indicare nel modo più beffardo la vacuità del potere davanti alla morte. Anche lo sguardo del protagonista è ad ogni scena sempre più immobile, non più rivolto alla conquista del mondo, come a rappresentare una resa, un defilarsi della gloria di fronte alla cagionevolezza della condizione umana.
Puoi anche essere un re, ma al cospetto della morte sei come l’ultimo dei disperati del quarto mondo.
La morte che parifica e che purifica (si pensi alla battuta finale).
Non serve sottolineare (si fa per dire) l’interpretazione del mitico J. P. Léaud, che dai tempi della saga di Antoine Doinel non ha perso un filo di smalto creativo, anzi!