Il FuturFest è una delle certezze dell’estate torinese: ha attraversato una decade di successi praticamente esponenziali, facendo lo slalom tra gli ormai inconfondibili piloni arancioni del Parco Dora e i cambi di casacca delle amministrazioni comunali, forte di una formula semplice ma granitica, come i pezzi di ricambio che venivano prodotti nell’ex acciaieria che ospita il festival sin dal suo battesimo. Si comincia a mezzogiorno e si finisce a mezzanotte, ovviamente sempre con la carta jolly dell’after-party in girula. L’aggiunta di un quarto stage ha conferito ancora più vivibilità ad un evento già di per sé al top dal punto di vista della logistica. In Italia dobbiamo ancora abituarci a Token e derivati, ma la tecnologia cashless aiuta a smaltire le code (che non abbiamo mai imparato a fare, in generale). Il festival inoltre prova a sensibilizzare sulla questione riciclo (col progetto TRASHed art of recycling) e dell’inquinamento acustico (nonostante i dirimpettai non siano – ancora – tutti fan della techno).
Sul palco, quest’anno, un tot di b2b da capogiro (a tal proposito: sempre sian lodate le docce per rinfrescarsi) come Prins Thomas vs Gerd Janson o Adam Port / Reznik. Poi, ci sono artisti da ogni angolo del mondo (Red Axes da Israele o Dj Nobu dal Giappone) e ovviamente “senatori” del calibro di Cox-Hawtin-Kraviz, ma soprattutto la leggenda Derrick May. Ed è solo l’inizio. Fate largo a tre acclamate “badass girls” come Peggy Gou, Emily Lens e Charlotte de Witte. Massima allerta per promettenti emergenti come Enzo Siragusa o San Proper. E tenetevi forte per il poker di live set firmati Vitalic, Capo Fortuna, Johannes Brecht e dei Modeselektor tornati alla ribalta in stato di grazia. Detto ciò, l’ex Kappa è talmente una garanzia che il resto dei nomi potete scoprirlo tranquillamente flyer alla mano in loco, sorseggiando il primo Jager del weekend.
Scritto da Lorenzo Giannetti