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sab 23.03 2019

C'mon Tigre

Dove

Auditorium Flog
Via M. Mercati 24/b, 50139 Firenze

Quando

sabato 23 marzo 2019
H 22:00

Quanto

€ 17,50 con tess.

I C’mon Tigre compaiono dal niente nel 2014 con un disco omonimo, uscito per Africantape – etichetta di Julien Fernandez degli Chevreuil. Quando l’album arriva, anticipato da un singolo in CD e un certo numero di preview, non sappiamo nulla del gruppo. Tutto ciò che ci è dato è una lunga serie di collaborazioni che tra i tanti comprende Jessica Lurie, Dipak Raji e il compianto Enrico Fontanelli di Offlaga Disco Pax e ovviamente l’artwork raffigurante solo una tigre intenta in una specie di passeggiata o piuttosto in un ruggito, rappresentata in uno stile ibrido che ricorda i disegni murari del Buthan e di Bali. Se lo si osserva bene, si possono addirittura cogliere delle crepe. Ma forse sto sovrainterpretando…

È stato già ampiamente fatto presente come le tredici tracce di questo primo lavoro si muovano agilmente in territori noti agli amanti delle musiche tradizionali locali dell’area mediterranea, dal Nord Africa all’isola di Malta, e più in generale del jazz, dell’exotica e della world music; ma qui, più che di influenze musicali si parla proprio di influenze culturali nel senso più ampio del termine. Non è un caso, forse, che l’album nasca inizialmente come una serie di appunti su un taccuino, presi dai core member dopo vari viaggi fatti in due anni.

Quella dei C’mon Tigre, nonostante il contributo dei film animati a cura di Danijel Zezelij e Gianluigi Toccafondo, non è banalmente una musica “cinematica” o visiva come poteva essere quella della lounge americana del dopoguerra, ma una musica conscia del fatto che alle immagini e ai suoni corrispondono località geografiche più o meno concrete, e quindi persone e situazioni del tutto reali.

Il progetto gioca sulla polarità e sullo scambio, prima che tra tradizione e sperimentazione o tra autoctono e l’allogeno, tra persone, sonorità e luoghi, tenendo sempre i piedi ben fermi sulle strade di questi ultimi, vicini a coloro che le rendono vive. Per tale ragione la loro musica è per forza di cose contaminata. È stato detto che essa parla le lingue, e invece secondo me il modo migliore per descriverla è dire che parla il pidgin: una lingua che non è quella di chi parla e nemmeno quella di chi ascolta, ma una nuova, nata dall’incontro degli idiomi dei due e, in questo caso specifico, di tutti coloro che hanno lasciato la loro traccia nei lavori del progetto.

Questa polarità viene riflessa anche dal nome, oscillante tra provocazione e protezione, tra “Come on, tigre” detto a mo’ di invito al combattimento, a farsi sotto, e “C’est mon tigre”: è la mia tigre. Il libretto di questo primo album ci dice inoltre che i C’mon Tigre “are a collective of souls”. Da qui le motivazioni dell’apparente anonimato dei membri. Dico apparente perché per C’mon Tigre non è questione di identità, che non sarebbe tanto difficile scoprire a chi si volesse incaponire, quanto più un discorso di voce; l’intento è quello di lasciare spazio alla musica, più che a chi la ha composta.

I C’mon Tigre, dopo quattro anni e un dodici pollici su Original Cultures, sono tornati con un nuovo disco, dieci tracce, un tour, una nuova serie di collaborazioni e ovviamente una nuova tigre in copertina, questa volta ritratta in un timido ruggito, in posizione accovacciata e con occhi grandi, che guardano in alto. L’approccio cambia solo di poco, concependo l’elettronica come base per gli strumenti acustici, avendo fatto tesoro della lezione che portare live un disco come questo può insegnare. Si chiama “Racines”, radici, tanto per rimanere in tema.

Per il resto è inutile parlare di qualcosa che vuole semplicemente essere ascoltato. Questo album non è da prendersi come qualcosa di nuovo, bensì come la naturale continuazione di un viaggio che va avanti da alcuni anni. È un viaggio che a suo modo appartiene a tutti noi e che un po’ in stile Jumanji ci chiama da non così lontano: “C’mon Ti-gre, C’mon Ti-gre”.

Scritto da Luigi Monteanni