“It doesn’t matter that she shouldn’t, that she never would. What matters is that she could, if she wanted. The power to hurt is a kind of wealth.” – Naomi Alderman, “The Power”
“I don’t want to know about the constitution of the rapist – I want to kill him! I don’t care if he’s white or black, if he’s middle-class or poor, if his mother hung him from the clothesline by his balls: I only want to kill him!” – Diamanda Galás
Gare canore per fascisti, “Toxic Masculinity” in cucina, riscaldamento globale – quella in cui viviamo è decisamente una terra dall’aria viziata. E poi le forme di clausura senza luce. Granate alla ciliegia, le mie armi da difesa. Scale mobili a gettoni: ogni salita un’aggressione, in discesa una sentenza. Soap&Skin è rosa come la gloriosa pece sul giornalista colonialista – e pedofilo. Il buon gusto del male a norma di legge, senza difese, se sei brutta e mascolina, sempre avvolta da una tempesta emotiva.
Anja Plaschg aka Soap&Skin arriva come una rivelazione aliena, come una poesia ribelle, una Callas cyber punk. “From Gas To Solid/You Are My Friend” è una cartolina di complicata e profana bellezza. Spezza la monotonia della scatola chiusa, bagno cieco, crocifisso e lampade Ikea. Soap&Skin asfalta la didascalica formazione calcarea della famiglia fondata e normata. Accessoriata: 70 mq di vangelo, box auto, lividi, molestie a mutuo perpetuo.
Soap&Skin raccoglie l’esperienza blasfema e lunare delle nostre madri ancestrali, creatrice in sette, otto, nove, dodici fottuti giorni di altrettanti fottuti miracoli. Scorre come un geyser. Messa in scena tra Medea, Francis Farmer, Ellen Ripley. Ti culla, stringe e ferisce, soffoca con un bel canto, strema con il lamento. C’è il rumore. L’intersezione metallica della creatura che altera il naturale. Soap&Skin potrebbe essere una ragazza elettrica di Naomi Alderman, dalla clavicola il potere scorre. Scossa che mette in ginocchio, ci mette al sicuro. Centro del mio disagio. Alien She.
Scritto da Paolo Santoro