Abbaiava e mordeva, Oleg Kulik, mordeva uomini e donne eleganti vestiti da opening. Lui era nudo e tenuto alla catena, come si addice a un cane. Posava eroticamente insieme a pecore, cavalli, e altri animali, mostrando tutto il suo amore per loro e, giustamente, a un certo punto della sua carriera di performer ha voluto incontrare anche Cicciolina.
La sua arte è tutta politica, ricerca frenetica di libertà, denuncia dell’oppressione. Politica russa – Oleg non per niente è nato a Kiev nel 1961, in piena URSS. L’opera che dà il titolo alla mostra, Sunlight, è un display di sbarre, sbarre da prigione disposte a forma di sole nascente, con attaccate delle mani nodose, delle braccia muscolose, schiene, parti del corpo che cercano di forzare, di fuggire. Il sole non è il sol dell’avvenire, ma quello del nord, della Siberia, della regione dove si scontano le durissime pene russe, un raggio basso che i prigionieri cercano di captare fino all’ultima particella e che si tatuano sulla pelle per non dimenticarlo mai.
Nella sala affianco di sono i Parachutists, omarini plasticamente sospesi a degli elmetti militari metallici. L’ambivalenza dell’immagine è fortissima, il pesante sta dove dovrebbe essere il leggero, il destino degli inermi sembra segnato dalla forza di gravità ma il filo sembra tenere.
Scritto da Lucia Tozzi