«In realtà, la mia è una forma di musica accademica, nel senso che proviene da fatti storici che hanno portato alla volontà di distruggere alcune tendenze della musica occidentale. Distruggere alcuni stereotipi e sviluppi che occupavano effettivamente troppo spazio, dando la precedenza a un ambito che appartiene soprattutto all’alta borghesia». Classe 1938, americano di Rhode Island con base a Roma da parecchi lustri,Alvin Curran non necessita presentazioni per chi frequenta la musica contemporanea – intesa soprattutto come musica del “presente”.
Se tra gli anni 60 e 70 è stato uno degli anelli di congiunzione tra il minimalismo d’Oltreoceano con il “rock” di Franco Battiato e Claudio Rocchi, se un giorno le sue imprese tra improvvisazione libera ed elettronica con il collettivo MEV verranno lette anche sui libri di storia della musica e se l’assimilazione e la coesistenza dei contrasti (colto e popolare, improvvisazione e composizione, strumentazione classica e field recording) saranno sempre la cifra dei sui lavori, l’aspetto cruciale – oggi – nella musica di Alvin Curran è la sua naturale evoluzione verso l’istallazione sonora e l’interazione con lo spazio circostante.
Fin dall’inizio, Curran è stato uno dei più importanti compositori contemporanei passati attraverso i dettami dell’Accademia ma capaci di portare l’avanguardia fuori delle sale da concerto ordinarie: nei parchi, nei laghi, nei siti archeologici o negli spazi “alternativi” per la musica. Oggi, uno dei più importanti compositori contemporanei si esibirà nell’Ex Chiesa di San Carpoforo, nell’ambito della serie OFF-Standards (in collaborazione con Archivio Storico Ricordi e Accademia di Belle Arti di Brera) che porta concerti aticipi fuori dalle mura bianche di via Maffucci. «Democratico, irriverente e tradizionalmente sperimentale», quello con Alvin Curran è (anche) un appuntamento con la storia.
Scritto da Chiara Colli