Apri la copertina space-disco di “Azkadellia” (ok, basta anche spingere play su Bandcamp) ed eccoti catapultato nel magico mondo degli eighties. L’immaginario a metà tra fantasioso e retromaniaco dei Tin Woodman del resto è quello del decennio devoto al synth pop, e il suono sta tutto lì. O quasi. All’orizzonte ultra pop ottantiano si aggiungono lustrini glam, grandi melodie elettroniche, gommose e ballabili, ma poi pure qualche guizzo inaspettato, tipo effetti stralunati alla Grandaddy e svisate hip hop.
Ma la fantasia dei bresciani Tin Woodman sta nella storia narrata da Simone Ferrari e Davide Chiari tra le pieghe dell’album: la vita di un robot umanizzato (perlappunto, Tin Woodman) e dei suoi due più cari amici, le vicissitudini di una band con un registratore a nastro che lancia basi sui palchi. C’è vita dopo i Bluvertigo.
Scritto da Sally Cinnamon