Armani Silos dedica una mostra antologica ma al contempo ellittica, non appiattendosi mai su un incedere cronologico, all’opera del fotografo di moda Peter Lindbergh – scomparso nel settembre dell’anno scorso. A firmarne personalmente la curatela, come sempre, Re Giorgio in persona.
“Nei ritratti fotografici di Peter Lindbergh io vedo solo una ricerca della verità. Niente di più e niente di meno”; a parlare, anzi a scrivere così, in un saggio pubblicato come introduzione al catalogo “Peter Lindbergh: Images of Women II” è niente meno che il regista tedesco Wim Wenders. Siamo soliti applicare il concetto di verità a tutte quelle cose immateriali, pensiamo che raggiungerla implichi un sacco di tempo; invece, per Lindbergh la verità era legata ai corpi, nello specifico a quelli femminili, e alle loro fragilità fatte di una concretezza effimera e la sua ricerca si esauriva nell’istante del click.
Le donne di Lindbergh non avevano un corpo, ma lo erano; “Je suis mon corps” scrisse il filosofo francese Gabriel Marcel – a significare che un corpo lo si è, non lo si ha.
Non ci deve stupire, quindi che il titolo della mostra sia una dedica esplicita a questo senso di appartenenza al corpo; la parola tedesca Heimat è seguita infatti dalla frase nominale “A sense of belonging”. Heimat in tedesco significa casa, ma non quella con le quattro pareti e l’affitto da pagare il 28 piuttosto che il mutuo da estinguere; bensì quella dimensione ancestrale che ci fa sentire protetti e che alla fine finisce per identificarsi con il corpo stesso, sia esso il nostro o quello della persona amata – il primo spazio che abitiamo con le sue pareti epidermiche e tutte le (troppe) complicazioni del caso.
Scritto da Giada Biaggi