Seguendo una pratica oramai divenuta metodo, il lavoro di Tibaldi si struttura a partire da meccanismi e dinamiche di uno specifico luogo, quasi sempre periferico, per provare a riflettere su una condizione ricorrente delle comunità umane pervase da logiche di consumo occidentali.
Ponendosi come strumenti di lettura di una contemporaneità sempre più marginale, i lavori ripensati dall’artista per gli spazi della galleria, tentano un’uscita dall’idea di “grande narrazione”, focalizzando così l’attenzione su quei dettagli specifici di una realtà spesso mediocre e imperfetta, come quella di una vita ai margini.
Abbandonando qualsiasi presunzione di rappresentazione della realtà, di una fede nella verità univoca, Balera affonda le sue radici nella percezione, in un insieme di sensazioni singolari e non funzionali. Infatti le tre installazioni e i rispettivi disegni progettuali, si pongono come lettura delle differenti visioni di alcuni abitanti Abruzzesi sulla percezione della propria emarginazione. Interpellati attraverso un questionario parte del bando Abruzzo Include, le stesse persone si autocertificavano una condizione di marginalità.
Se quindi un sentimento personale di esclusione sociale, politica, economica e culturale diventa per le stesse istituzioni un parametro fondamentale, la ricerca di Tibaldi sembra affermare che la verità e la realtà intesi come concetti-feticcio non sono altro che la percezione più comune e quindi credibile.
Scritto da La Redazione