A quanti di noi è successo di stringerci al corrimano di una scala per sentirci più sicuri, e invece quanti di noi hanno afferrato il braccio di una persona amata in cerca di sostegno?
Agnieszka Mastalerz, giovane artista polacca ospite della Galleria eastcontemporary, esplora il concetto di protezione e di cura attraverso la metafora del “braccio” nella mostra personale “no mental scars, no nursed grudges”. Lo fa attraverso fotografie e istallazioni video che inizialmente sembrano essere pure immagini, statiche o in movimento, ma che rivelano pian piano il senso dietro di esse.
Il trittico di video presentato esplora l’uso della tecnologia e della macchina da presa come occhio che inquadra e indaga, in modo profondo e analitico, i movimenti di due giovani ginnaste acrobatiche. La più piccola delle due si appoggia alle braccia dell’altra per elevarsi in verticale, affidandosi totalmente alla forza e all’equilibrio della compagna che, dopo i volteggi, la fa tornare a terra sana e salva. Il braccio meccanico che le riprende osserva le loro evoluzioni studiandole nei dettagli molto più di quanto possa fare l’occhio umano, un po’ come una lente di ingrandimento. È una scena che incanta e che fa riflettere su quante volte ci consegnamo alle macchine per sentire quel senso di protezione che forse vorremmo ricevere da un’altra persona. Perché la macchina è qualcosa di apparentemente più perfetto di noi ma, al tempo stesso, siamo noi stessi a crearla. Viviamo in un’atmosfera in cui richiedere attenzioni alle altre persone ci fa sembrare deboli, come se non fossimo entità preparate a sostenerci a vicenda. E finiamo con il delegare questo compito alle macchine, come fossero più stabili e resistenti.
Nelle fotografie di Agnieszka che si aprono sulle pareti intorno, di cui alcune hanno per la prima volta l’artista come soggetto, le mani delle donne inquadrate si aggrappano al corrimano di una scala, si abbandonano a esso, come l’unica cosa in grado di sorreggerle. Mastalerz ci racconta in qualche modo che nella lunga scalinata della vita non dobbiamo essere per forza da soli, perché attorno a noi c’è sempre qualcun altro che sta salendo o sta scendendo.
Eugenio Montale, rivolgendosi alla moglie scomparsa, ha riassunto tutto questo in quelli che a parer mio sono due fra i versi più belli della letteratura italiana:
“Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.”
Scritto da Martina Todero