Se non c’è fine alle crisi le opzioni potrebbero essere almeno un paio: l’assunzione pretestuosa che a una certa la “storia fosse finita”, e alla sua ripartenza accelerata nessuno era pronto, oppure che questo è un secolo, un’inclinazione storica, per cui la crisi e consustanziale alla storia. E allora non c’è proprio niente da fare.
Gabriele Frasca, con il suo Lettere a Valentinov appena appena pubblicato da Sossella Editore, tenta allora un’operazione che ha il sapore di quei testi intenti a lavoricchiare il tempo, a mescolare gli eventi nell’ordine intempestivo del mito ma anche dell’entanglement quantistico: si mescolano gli accadimenti, la Spagnola di ieri e la pandemia di oggi, il Settantasette e il taylorismo, l’atomica e le droghe negli anni di Piombo, la Prima Guerra Mondiale e la guerra d’oggi, insomma si assume una storia di coincidenze tutta novecentesca con l’intento di trovare qualche suggestione rispetto all’arretratezza della sensibilità odierna. Al contrario, si ringalluzzisce qui il sogno trozkista di un avvenire utopico, quel desiderio di un’immaginazione positiva che non trova riscontro, ma proprio per niente, nelle tensioni fantastiche dell’oggi.
Scritto da Piergiorgio Caserini