Se finora i festival di quartiere si potevano contare sulle dita (per esempio il Nolo Fringe) o sugli eventi che rinvigoriscono l’affollamento cittadino (come il Fuorisalone o BookCity) si vede pian piano attestarsi l’idea del modello di feste in scala, a dimensione prossimale, sottocasa. Questa è la volta di Back to the future!, titolo-statement rubato a uno dei film più iconici degli ultimi quarant’anni e che già dice qualcosa sull’impostazione mentale e concettuale della prima edizione del festival. Curato dall’associazione Ecate e locato allo spazio Magnete – nuovo hub territoriale –, a essere soggetto inderogabile e imprescindibile è ancora una volta un quartiere periferico: quartiere Adriano.
L’idea di Back to the future! comincia con uno slittamento nelle consuetudini organizzative, alias: se per fare un albero ci vuole un seme e via dicendo per fare un festival ci vuole formazione, ed è da qui che comincia Ecate con BTTF, selezionando un collettivo di giovani under 30 e accompagnandoli lungo un percorso di formazione, con incontri, scambi, workshop assieme a professionisti del settore per costruire un collettivo volto alla gestione del festival. L’idea è quella di una direzione artistica partecipata, legata a un’idea di democraticizzazione della cultura e della programmazione.
Insomma, alla base di BTTF c’è quel modello di apertura e copartecipazione che si è visto negli ultimi anni prendere piede nei quartieri, attraverso opere d’arte e di teatro (come le “coreografie di cittadinanza” della Francesca Marconi) capaci di coinvolgere le comunità di quartiere, anzi: di fare comunità nel quartiere, a partire da una mise en scene che intende rattoppare le distanze e le relazioni, di “fare ponti”.
Non per niente, le tematiche e gli eventi di BTTF si concentrano tra spettacoli teatrali, performance, workshop e incontri – tutto è volto a pensare e pensarsi per forme partecipative, aperte. Per esempio, uno spettacolo tra tutti: “Supersocrates” è uno spettacolo teatrale in forma “cronistica” che ritira fuori la grandissima storia di Socrates, probabilmente il solo “calciatore filosofo” – detto anche il dottore, che entrò a gamba tesa nel tritacarne economico delle istituzioni calcistiche (in questo caso il Corinthians) per sperimentare una specie di democrazia libertaria, la Democrazia Corinthiana, che fu di fatto una delle più importanti resistenze civili durante il governo militare. S’insegna che il calcio è strumento collettivo, e come tale ha efficacia politica e per la comunità. Torna anche il format – ormai un classico – della passeggiata di quartiere, che qui si fa sonora: s’immagina ciò che non c’è ancora e ciò che non c’è più. Così come il workshop sull’idea dell’errore e il “margine di fallimento”, che mira a contestare e discutere le dinamiche del lavoro e l’idea di successo che reitera sempre una spesa eccessiva di sé.
Insomma, gli spettacoli sono tanti, e tutti convergono nell’idea – nell’intento – di produrre un senso di luogo. Coinvolgendo giovani e meno giovani, tirando in piedi direzioni artistiche locali e avendo presa sul territorio, cercando di valorizzare le produzioni locali e i consumi che ne derivano. Che dire, si fa quartiere, si fa territorio come lo si pensava una volta: sì urbano, ma stretto eppure diffuso, come se fosse un arcipelago: questo è il “ritorno al futuro”, e ovviamente si parte dalle comunità locali, sempre, auspicabilmente, con processi organizzativi dal basso.
Qui il programma per intero di Back to the Future.
Scritto da Piergiorgio Caserini