Entri a teatro con un foglietto quadrato e una penna in mano, ti siedi e aspetti istruzioni per quei due strumenti potentissimi di cui hanno deciso di armarti. Ecco le direttive: sul foglio devi scrivere qual è la tua idea di padre.
Padre: colui che ti capisce anche quando non parli!
Buio.
Inizia lo spettacolo.
Arturo è una stella, la prima del mattino e soprattutto una storia, quella di Laura e Niccolò, la loro, ma anche quella di tutti i figli, padri, madri e ricordi. Il percorso è quello della memoria che, si sa, non è lineare ma in cui tutti i tasselli sono come pezzi di un puzzle che piano piano formano un quadro intero.
Inevitabile non citare Perec, che nel preambolo del suo libro “La vita istruzioni per l’uso” scrive a proposito del puzzle “i due pezzi miracolosamente riuniti sono diventati ormai uno, a sua volta fonte di errori, esitazioni, smarrimenti e attesa.” Ed è esattamente questo che accade sul palco, in un ordine estemporaneo, i due non attori ricompongo questo quadro fino a darci una visione completa della loro storia.

Arturo è uno spettacolo che sa un po’ di sale e la mascherina copre il bisogno umano di un fazzoletto a portata di mano. Laura e Niccolò riescono per un’ora a portare un’intera sala a vivere questo viaggio che, come le stelle che spariscono con l’arrivare del giorno, prima o poi finisce.
Andateli a vedere, seguiteli e abbracciateli a fine spettacolo, ne varrà la pena.