La sala A come A, del Teatro Franco Parenti, rimbombante di chiacchiere, aspetta l’inizio dello spettacolo. Sul palco si vede una struttura che, come una cornice, circoscrive la scena, due cerchi sospesi in aria, uno nel proscenio e uno in fondo al palco, fanno da parete e in mezzo a questi una figura femminile con la schiena al pubblico attende.
Buio in sala, l’attrice, Marta Pizzigallo, inizia a recitare il suo lungo monologo seduta, in piedi, accucciata su un tavolo chirurgico. Un soliloquio sul corpo, sui pensieri più profondi e nascosti di una donna tedesca che vuole essere altro, un uomo.
I temi che il testo sviscera, ripresi dal romanzo di Katharina Volckmer e riadattati in questo spettacolo dal regista Fabio Cherstich, sono tantissimi: si passa dall’identità di genere, ai desideri sessuali più nascosti riguardanti un rapporto con Hitler fino all’accettazione da parte della madre e della società. Un’ora e mezza senza interruzioni, dove tutto ruota intorno al concetto di non essere ciò che si sente, anzi si percepisce come un gatto che abbaia, che vuole essere cane.
La donna chiede al chirurgo estetico, interpretato da Riccardo Centimeri, seduto in un angolo del palco, un “cazzo ebreo” in una “vagina tedesca”, il testo volutamente graffiante e provocatorio in realtà non suscita fastidio nello spettatore, anzi l’attrice riesce a rendere tutto con naturalezza e anche le cose apparentemente più sconvolgenti risultano ovvie, comprensibili. La storia così si astrae dal tempo e diventa attuale, non sconvolge ma crea empatia perché è la verità quella che esce dallo spettacolo e il bisogno di essere realmente ciò che si sente e non altro.
La bravura di Marta Pizzigallo riesce a destreggiarsi con un testo a volte intricato, un flusso di coscienza che non sempre cattura l’attenzione del pubblico ma da cui ci si lascia trascinare travolti dalla potenza del racconto.
Intorno a questo monologo l’apparato scenico, composto da luci e musica, si anima e si spegne con la potenza del testo. La parete in fondo diventa tela dove dipingere i propri sentimenti, il tutto contribuisce a sostenere la recitazione dell’attrice che, a tratti intima a tratti urlata, trascina con sé il pubblico fino alle lacrime e agli applausi finali facendo alzare in piedi tutta la sala ad applaudire.
Scritto da Francesca Rigato