In una mini sequenza del film Roma del 1972 incentrata su un incontro “casuale” con Anna Magnani per le vie di Trastevere, la voce narrante di Federico Fellini eleva l’attrice romana a simbolo di una città “un pò Lupa e un pò vestale, aristocratica e stracciona, tetra e buffonesca…”. Tante sono sicuramente le facce e le contraddizioni della città eterna e altrettanti sono i ritratti nel mondo della musica, e dell’arte in generale, che le ricalcano più o meno fedelmente a seconda del periodo storico, dal menefreghismo folkloristico dei magnaccioni da osteria di Lando Fiorini, passando per il fontanone di Venditti che splende nella sera, fino al silenzio irreale di piazza Navona nella Grande Bellezza di Paolo Sorrentino. Difficile però, cinema di Pasolini forse a parte, entrare in contatto con l’epica di chi vive ai margini dell’Urbe, lontano dal clamore della politica, della mondanità e da tutti gli altri codici infinitesimi di cui si compone la capitale d’Italia. “La Roma dei poracci dorme ancora”, “Er vino nostro nun costa’n cazzo ma te da’n testa e fa cantà”. Queste le frasi che si sono scolpite nella mia mente la prima volta che mi sono trovato sotto il palco de “Il Muro del Canto”, una formazione nata per raccontarci delle storie sincere a colpi di fisarmoniche dark e chitarre elettriche impreziosite dal tono declamatorio, che rasenta quasi la sacralità, del frontman Daniele Coccia Paifelman; storie lontane dall’olografia e dalla retorica del glorioso passato di Roma, storie d’amore sorprendente e di sofferenza cantata a gran voce in romanesco; insomma, storie di vita vera. Questo e tanto altro, fra qualche giorno, sul palco della Santeria di Viale Toscana, nei pressi del nostro personalissimo Grande Raccordo Milanese chiamato Circonvallazione. Ci vediamo lì.
Scritto da Marco Mascolo