Come sempre da studioamatoriale quando si fa qualcosa quel qualcosa lo si fa fino in fondo. Fino a far sì che l’artista, che in questo caso è Angelo Leonardo, possa dormire nello spazio, se c’è il bisogno. Che ci mangi, che d’altronde c’è una cucina. Che vada al bagno e si faccia pure una doccia, che in fondo c’è tutto e per certi aspetti è come una casa. Che in fondo se si passano trentanove giorni lì e a dormire qua e là, sul divano o sui tappetini stampati a effetto marmo, a pensare sulla scrivania e magari sotto alla luce abbacinante di quell’insegna bianca alta quanto il soffitto e presa chissà dove, insomma con delle giornate simili l’immaginazione s’alza e decolla. Per necessità. Un po’ per esercizio e un po’ forse per costrizione, ma che dire: fa sempre bene all’animo. Succede allora che si comincia a disegna sui muri, sui vasi, sui tavoli, e come Leonardo fa disegna grafici e diagrammi che inflettono la storia, la scompongono, la rimestano e miscelano, a metà tra un veggente, un rabdomante e un bambino che poco se ne frega delle discipline e dei comportamenti, perché ciò che conta è quel che sospinge l’immaginazione, il senso che si setaccia da tutto.
Leonardo insomma «Fodera i cuscini di federe ricamate di incubi di cotone, la transustanziazione dei buchi neri in sogni d’oro», fa flanella nella bambagia e, più specificatamente qui, nelle testimonianze di Francesco Tola, paroliere poeta dello spazio,: «Ora c’è un vaso di fiori ricamato a studioamatoriale, al trentanovesimo giorno di residenza, alla sesta settimana di resistenza. Lo contempla, fuori dal sonno REM. E aspetta che arrivi la primavera.»
Scritto da Piergiorgio Caserini