La mostra collettiva curata da Valentino Catricalà analizza l’importanza della Game Engine nella nostra attuale cultura e nel modo in cui ci interfacciamo oggi alla realtà.
Qual è il nostro rapporto con le immagini e i suoni oggi? Come accediamo alle informazioni? Che rapporto abbiamo con la nostra realtà? Queste sono le domande alle quali questa mostra vuole rispondere. Le nostre modalità di apprendimento e conoscenza sono sempre più mediate da processi di Game Engine, i quali, da un fatto meramente tecnologico, sono diventati un vero e proprio fenomeno culturale che apre importanti questioni sociali e filosofiche.
La Game Engine Culture nasce come una serie di software per la creazione e lo sviluppo di videogiochi. Con la rapida espansione della società digitale, tali software sono oggi andati oltre questa specifica funzione per diventare la materia prima con la quale accediamo alle informazioni. Nonostante l’espressione faccia tuttora riferimento al gioco, oggi il Game Engine riveste in modo totalizzante la sfera del mondo digitale con cui ci interfacciamo alla realtà. Questa etichetta può, infatti, includere un ventaglio molto ampio di operazioni, quali rendering per grafica 2D o 3D, produzione e post-produzione di suoni, scripting, animazione, intelligenza artificiale, machine learning, networking, streaming, supporto per la localizzazione. Da un lato, dunque, immagini e suoni sono concepiti e realizzati da macchine per altre macchine attraverso sistemi di intelligenza artificiale, dall’altro il Game Engine, andando oltre il videogioco, è la base per la creazione di qualsiasi esperienza audiovisiva, visiva, sonora, interattiva: uno dei media chiave del nostro tempo, il motore generatore della nostra attuale cultura. Questo nuovo ruolo dell’informazione visiva e sonora è ciò che guida le nostre azioni, le nostre economie, il nostro mondo.
Per comprendere questi spostamenti, la mostra propone di guardare al lavoro di artisti che da anni, e in anticipo rispetto ai tempi, hanno esplorato e rielaborato questo nuovo territorio. Il concept, nato presso la MODAL Gallery di SODA – School Of Digital Arts a Manchester, è stato ampliato in questa occasione puntando con più decisione sulla generazione di artisti, anche italiani, nati fra gli anni Ottanta e Novanta, cresciuta quindi già immersa nei media e nelle tecnologie digitali. Questi artisti indagano attraverso opere di sound art, robotica e machine learning, il ruolo dei processi di digitalizzazione in molti modi diversi: dalla critica politica, come DIS e Mishka Henner, all’attivismo come Joshua Citarella & Jacob Hurwitz-Goodman e AUDINT; dal nostro rapporto con la natura, come Quayola, alle questioni dell’antropocene, come Jakob Kudsks Steensen e Alexandra Daisy Ginsberg; dal rapporto con la nostra memoria culturale, come Oliver Laric e Auriea Harvey, fino alle questioni legate all’identità, come Federica Di Pietrantonio, e all’identità artificiale, come Donato Piccolo.
Agli artisti presenti in mostra, si aggiungono quattro fra le principali artiste operanti in questo campo che saranno protagoniste di un ciclo di screening in programma tra gli eventi collaterali di FMAV Fondazione Modena Arti Visive: Cécile B. Evans, Racheal McLean, Diana Policarpo e Jenna Sutela.
Un viaggio, dunque, a trecentosessanta gradi nel cuore di uno dei temi principali della nostra contemporaneità, all’interno di ciò che sta fondamentalmente modificando le nostre vite, il nostro modo di relazionarci, in una parola, il nostro mondo.
Scritto da LR