La stragrande maggioranza degli appassionati di musica, si sa, ha la sua piccola setta di fruitori ossessivo compulsivi con cui intavolare dispute e dialoghi sui massimi sistemi musicali. Io entro di diritto nella cerchia sopra descritta e all’uscita dell’ultimo disco di Devendra Banhart, “Flying Wig”, si è innescato il classico ping pong di riflessioni proprio con il mio personalissimo circolo di carbonari e il giudizio più azzeccato che ne è uscito e che voglio condividere con tutti voi è stato il seguente: “Devendra è sempre stilosissimo”. Che i puristi della critica gridassero pure allo scandalo ma tutto ciò che conosciamo della vita del cantautore “venezuelan – texano” trasuda appeal, dalla vita affettiva alla musica. Il già citato “Flying Wig” irrompe nella sua discografia a coronamento di un percorso di rivoluzione sonoro stilistica che parte dall’introspettivo ed elegantissimo “Mala”, uscito 10 anni fa e interamente dedicato alla fotografa e designer serba Ana Kras. Da Mala, senza nulla togliere ai sorprendenti lavori precedenti, comincia un viaggio esplorativo che porta Devendra Banhart ad aprirsi a nuovi orizzonti musicali spaziando dal pop all’elettronica, senza mai comunque accantonare il suo legame ancestrale con tutto ciò che è folk, oscillando tra i linguaggi del songwriting tipicamente a stelle e strisce, a cui è indissolubilmente legato, e le pulsioni esotiche provenienti dal sangue materno. “Flying Wig”, la sua coperta volante carica di immaginazione, sorprendente per le sue atmosfere oniriche e allo stesso tempo psichedeliche, è l’ennesima dimostrazione che, in primis, una vita senza ricerca, non è degna di essere vissuta e che nella vita stessa, almeno una volta, Devendra Banhart va visto.