Berlino, 24 febbraio 2024
L’aria che si respira è elettrica, densa, per certi versi dionisiaca. Una folla di persone sudate, per lo più sugli -anta, sta facendo esperienza di un evento così bramato, sognato, aspettato, che pende tra estasi e incredulità generale. Cantano a squarciagola, si dimenano, vivono e rivivono con malinconica serenità.
Ed è così che sale sul palco Andrea Scanzi.
È lì per introdurre e spiegare – se mai ce ne fosse bisogno – Emilia Paranoica, uno dei pesi massimi della produzione del gruppo. Come prevedibile, Scanzi in quel momento è l’attaccante della squadra ospite che, segnato il gol vittoria al 90esimo, viene ad esultare sotto la curva di casa: odio ricco e profondo da parte dei tifosi/fan, veicolato sotto forma di fischi, urla, insulti e diti medi. Contemporaneamente, accanto a lui, emerge Giovanni Lindo Ferretti, che volteggia e spalanca le braccia sorridente e beato, come a voler assorbire tutta l’energia negativa sprigionata dal pubblico dell’Astra Kulturhaus. S’improvvisa direttore d’orchestra dei ‘Vai a cagare!’, restituisce i diti medi, abbraccia Scanzi e prende parola:
‘Quanta voglia di purezza in questi sguardi. Quanta voglia di poter odiare qualcuno perché vi sta sui coglioni, e lui sta qua, perché vi sta sui coglioni, perchè non abbiamo mai voluto che tutti la pensassero come noi. Perché portiamo il disordine e non l’ordine. Non quello che volete voi. Non sono come tu mi vuoi. Non sono come tu mi vuoi non sono come tu mi vuoi non sono come tu mi vuoi.’
L’inversione di rotta del pubblico è tanto unanime quanto sincronizzata (se non per un ‘Canta vecchio di merda!’ che dona un’ulteriore sfumatura di colore alla scenetta): i fischi tornano gemiti, i diti medi pugni, gli animi si stemperano, e anche stavolta ha vinto il punk. E via di chitarre distorte.
Sono tutto e sono niente, e cambiano come cambia il mondo, rimanendo in fondo sempre uguale a se stesso.
Questo simpatico teatrino, apparentemente innocente, è stato per me di una profondità disarmante. Sebbene i CCCP siano una delle poche costanti musicali della mia vita, essendo nato nel terzo millennio sono distante almeno un paio di generazioni dal loro periodo di attività. Si parla degli anni 80’, post Sessantotto, post Settantasette, in piena Guerra Fredda. Confusionaria transizione dal mondo che fu a quello che è, ora. Tentare di dare una visione d’insieme coerente ai CCCP, definiti contemporaneamente come un gruppo di punk filosovietico e di musica melodica emiliana, che vede metà della sua formazione costituita da entità che non suonano e non cantano, durato poco più di otto anni e crollato assieme al Muro (e probabilmente assieme al mondo che li ha generati), è un’impresa utopicamente eroica. E se aggiungiamo il fatto che, fino al 24 febbraio scorso, per 35 anni non c’è stato più nulla (s’intenda, parliamo di CCCP e non di tutto ciò che da essi è derivato), il lavoro diventa vera e propria storiografia.
Ma torniamo al teatrino, all’epifanico teatrino: stati di confusione, stati di shock, stati di agitazione. I CCCP, coerenti impersonificatori della loro epoca, hanno trovato nella confusione un veicolo artistico estremamente efficace. Le performance live come teatro d’avanguardia, la cadenza ipnotica delle sillabe recitate con enfasi dal muezzin Ferretti, le sonorità grezze, ruvide, distorte mischiate con le ballate emiliane, i manifesti ideologici fortemente filosovietici, che risultano estetica e iconografia più che identità. Un cortocircuito dadaista al servizio delle masse, un’arma contro la necessità di sapere chi è il nemico, chi va odiato.
Fin qui sembra un grande bluff, che giustifica tutti i detrattori.
Quelli che odiano Ferretti per le sue posizioni meloniane e tradizionaliste, quelli che gli diedero dei ‘venduti’ per il passaggio in major, e quelli che gli danno dei ‘venduti’ per il tour annunciato, in termini di date e prezzi, antipatici ai compagni.
Anche il loro concerto in apertura alla diciottesima edizione del MI AMI fa parte di quest’ultima casistica, data che tra l’altro ha visto un cambio di location (prima al Magnolia, ora al Carroponte) conseguente alla mole di richieste.
E allora perché i CCCP?
La verità è che se la formazione emiliana ha saputo far breccia in maniera così trasversale, tanto tra i giovani d’oggi quanto tra i giovani di ieri, tanto tra gli estremisti quanto tra gli apolitici, è soltanto per il loro valore artistico e musicale. Giovanni Lindo Ferretti è un poeta, un filosofo, in grado di decifrare il mondo e riportarlo tramite concetti chiari, lucidi, cinici, tramite un campo semantico innovativo, crudo e impattante. I CCCP sono un trattato di etnomusicologia. Sono te, il tuo migliore amico, l’armeno nel Nagorno Karabakh, il monaco buddista in Tibet, il soldato americano in Afghanistan, Putin, Pasolini, Roza Luxemburg, Giorgia Meloni. Sono tutto e sono niente, e cambiano come cambia il mondo, rimanendo in fondo sempre uguale a se stesso.
Perché ‘il punk come il tempo non si arresta ma si trasforma, e a noi piacciono le differenze, anche quelle che vi stanno sui coglioni!’
Scritto da Pietro Pascolini