La storia del duo scozzese fondato dal cantante e batterista Aidan Moffat e dal polistrumentista Malcolm Middleton prende avvio a Falkirk nel 1995 quasi per gioco, come tante cose nate da interessi e passioni comuni. Un sodalizio che ha trovato voce tra gli anni ‘90 e primi ‘00 in alcuni degli album più intrisi di malinconia alticcia, decadenza ed erotismo. Poesia urbana, grezza, diretta e brutale, si accompagnava ad un pop oscuro che transitava tra i territori del post-folk, dell’indie-rock e del post-rock, verso una crescente attitudine allo slowcore.
Nel 2006 arriva la doccia fredda e il duo annuncia di volersi sciogliere, sostenendo di aver ormai fatto il proprio corso. Da qui e per una buona decina d’anni, i due intraprenderanno una moltitudine di progetti paralleli, con vari alter ego e collaboratori, portando avanti le proprie sperimentazioni musicali.
Nel 2021 inaspettatamente, arriva la reunion e un nuovo disco insieme: “As Days Get Dark”, un album di intensa e spietata bellezza, audacemente autobiografico, che pone le premesse stilistiche al più recente “I’m Totally Fine With It, Don’t Give it a Fuck Anymore”, il disco con minore presenza di chitarra in assoluto che contro ogni pronostico è decisamente il più rabbioso. In questo capitolo della loro discografica il duo scozzese rivolge l’attenzione narrativa al comportamento umano nell’era digitale, a fini incisivi e talvolta nichilisti, attraverso testi cupamente divertenti e un sound design impeccabile e nostalgico. Per una band spesso sottovalutata che ha pubblicato sette album in poco meno di 30 anni, la loro influenza sembra essere sparpagliata un po ‘ovunque. E se sono sempre sembrati fuori luogo rispetto alle tendenze indie-rock di massa dell’era del 2000, il secondo atto musicale, con le sue narrazioni saldamente collegate alla nostra instabile coscienza collettiva, non avrebbe potuto avere un tempismo migliore.
Ora, più che mai, è tempo di riscoprire gli Arab Strap.
Scritto da Simona Ventrella