Il Mito delle Donne Festival: resistenza partygiana.
Una sera ero a una festa a casa di un amico e, come mio solito, stavo sorseggiando in disparte la birra numero x della nottata. Seduta in precario equilibrio sul bracciolo del divano, vengo strappata ai miei vagheggiamenti mentali e riportata ai vaneggiamenti reali sentendo il mio nome uscire dalla bocca di qualcuno. Più precisamente da quella di Francisco, la mia ultima cotta. Un tipo decisamente frizzante, considerando gli standard. «Ema! Dov’è Ema?» (sì, ha dei problemi nella pronuncia delle doppie). Io rimango immobile ad aspettare che mi veda. Dopo una breve ricognizione per la stanza mi si para davanti, prende una sedia vicina, la tira davanti a sé e ci si siede sopra senza complimenti. Un paio di secondi di silenzio, il massimo che solitamente riesce a raggiungere, poi mi guarda e mi chiede: «Tu come chiami una donna architetto?».
Quale piacevole sorpresa. Finalmente anche io parlo.
«Partiamo dal presupposto che una persona non è il lavoro che fa, se fosse, direi “faccio l’architetto”».
Lui risponde: «Ok grazie per la precisazione ma andiamo avanti, perché non architetta?».
«Perché anche se è un titolo, non definisce» dico, pensando a quanto questa frase sia bella e inutile.
«Prima parlavo con Margot che mi ha detto la stessa cosa, per lei non è importante perché quello che conta è saper fare il proprio lavoro e non dà importanza al nome… ma non capisco come potete dire una cosa del genere».
Ed è proprio del genere che stiamo parlando. La lingua italiana, nonostante sia femmina, manca di coraggio (perché di fantasia ce n’è sempre stata, ricordiamo petaloso): molti nomi legati a attività o professioni sono stati diffusi con desinenze maschili proprio perché quei ruoli erano riservati esclusivamente agli uomini. Presidente, dottore, avvocato, arbitro, ingegnere, produttore o brigante ne sono testimonianza. Ti immagini una donna che sgozza teste, che assalta per rubare e distribuire ciò di cui lei e gli altri hanno bisogno, che fa sesso con chi le pare, che decide dove andare, che non vuole essere solo la moglie e la domestica di qualcuno? Le brigantesse, ad esempio, sono state quasi cancellate dalla storia perché figure femminili violente e in estrema minoranza. Accomunate dalla ribellione a uno stesso sistema sociale ma in un tempo diverso, le donne partigiane sono invece state rappresentate come figure positive, esemplari, coraggiose. Qualcuno starà pensando “beh, non ci stai dicendo niente di nuovo”.
È così. Le stesse modalità continueranno a perpetuarsi finché finalmente decideremo le parole e le forme della nuova storia che vogliamo raccontare e vivere.
Proprio da slanci vitali del genere, o meglio, di genere, nascono iniziative come Il Mito delle Donne Festival. Dal 4 al 6 ottobre la manifestazione dedicata alla riflessione sul ruolo della donna nella società, offre tre giorni di spettacoli, laboratori, talk, concerti e stand-up comedy. Il festival mira a coinvolgere ampie fasce della comunità per promuovere la partecipazione attraverso l’arte e la cultura.
Qui potete trovare il programma completo.
Scritto da Emma Bartolini