Una mostra su Paolo Gioli? Senz’altro una sfida ardua. L’artista veneto non solo ha prodotto una serie enorme di opere, ma ha anche attraversato forme espressive molto diverse fra loro. È infatti pittore, regista, fotografo. La personale che si tiene a Peep Hole si prefigge dunque un duplice obiettivo: presentare il lavoro di Gioli, ma anche offrire un tema estetico per riflettere sullo statuto dell’arte, sul perché esistono gli artisti e le loro opere. In questa luce, la produzione di Gioli acquista un senso univoco, una prospettiva che dà coerenza a momenti artistici molto diversi fra loro.
In effetti, le foto e i dipinti esposti nelle otto sale di Peep Hole riguardano sempre il rapporto fra l’immagine – o rappresentazione – e lo spettatore. Comunemente si tende a dare per scontato il meccanismo che lega l’occhio all’immagine: da una parte un soggetto pensante, dall’altra un oggetto inerme pronto per essere “acquisito”. Al contrario, Gioli rende problematico questo rapporto. Prendiamo ad esempio la sala IV dove sono esposti quei lavori per i quali ha utilizzato la tecnica del fotofinish. Qui possiamo vedere figure distorte, volti “spalmati” sulla pellicola, deformazioni grottesche del corpo umano. Che cos’è, in questo caso, l’immagine che osserviamo? La rappresentazione fedele di un oggetto statico e nitido? Nient’affatto. Queste fotografie ci restituiscono una realtà per nulla oggettiva. Queste immagini hanno qualcosa da dire, sono punti di vista, interpretazioni, stati d’animo. Il soggetto e l’oggetto qui si confondono, tanto che lo spettatore ha per un attimo l’impressione di essere di fronte ad un’altra persona. È una questione che ha impegnato per secoli la riflessione di critici e filosofi: l’opera d’arte risponde alle leggi oggettive della realtà o a quelle del soggetto umano?
Ecco, con questa esposizione, si può afferrare con precisione un’opzione estetica altrimenti ostica. Le opere di Gioli aprono uno squarcio nel mondo che ci circonda, provocano uno shock: ci ricordano che quello che vediamo e pensiamo essere saldamente ancorato alle trame dell’essere in realtà oscilla, muta, è soggetto a instabilità e cedimenti. Insomma, vedere non è un atto neutro, ma una forma molto raffinata di interpretazione.
Scritto da Giacomo Dini