Se dovessi dirla tutta, non saprei mai spiegare cosa ci trovo nei dischi di Haley Fohr, meglio nota come unico membro della one-woman-band chiamata Circuit des Yeux, figuriamoci scrivere un articolo al riguardo. Perché la musica di Circuit des Yeux non ha nulla di originale, non c’è un istante in cui ti faccia spalancare i timpani di stupore e curiosità, che sia nel suo fragile passato chitarroso o nel più cavernoso presente digitale.
E allora perché continuare ad ascoltarla e ad apprezzarla? Certo, Haley ha una voce ultraterrena, una di quelle che voci da cui vorresti sentire cantare qualsiasi cosa, anche un jingle pubblicitario. Ma non basta. Il fatto è che la musica di Circuit des Yeux, continuo stuzzicare la sensibilità di chi ascolta, non parla alle orecchie. Andrebbe ascoltata con un altro organo, collocato suppergiù in mezzo alla cassa toracica, tra la cistifellea e il diaframma. Il luogo delle sensazioni delle ferite più profonde, quelle in cui sguazza l’angoscioso canto di Haley Fohr, con una carta da giocare che, quella sì, non ha quasi nessun altra: il jolly della catarsi.
Scritto da Filippo Cauz