Morire da ignoti: un incubo senza fine o l’estremo atto di rivolta, nell’epoca dei social network e degli algoritmi di profilazione? È questo lo spunto di partenza di Tamam Shud, performance in “schizolingua” che l’artista Alex Cecchetti porta a Raum giovedì 10 novembre, nel quarto appuntamento del calendario autunnale curato da Xing. Di origini italiane ma attivo tra Parigi e Londra, Alex Cecchetti è performer, scultore, pittore, coreografo, poeta. Per realizzare i propri lavori indaga materiali e forme espressive diverse, creando opere sempre in bilico tra l’immaginario e il possibile, tra il sogno e la realtà, tra la poesia e la narrazione, che spesso coinvolgono il pubblico in situazioni performative in atto. I suoi progetti sono stati ospitati in diverse gallerie e centri d’arte internazionali, come il Centre Pompidou di Parigi, la Serpentine Gallery di Londra e il MAXXI di Roma. Tamam Shud si ispira alla vicenda di Somerton Beach, caso di cronaca del 1948 in odore di Guerra Fredda, quando su una spiaggia nei pressi di Adelaide, in Australia, venne ritrovato un cadavere al quale non si è mai riusciti ad attribuire un’identità. L’unico indizio: una pagina strappata da un libro di poesie persiane, che riporta per l’appunto le parole Tamam Shud, “questa è la fine”, trovato in una delle tasche dell’individuo. Attraverso la modalità itinerante che spesso caratterizza i suoi lavori, Cecchetti conduce gli spettatori in una meditazione, ironica e coinvolgente, sull’ossessione dell’identità, sul valore di mercato delle nostre biografie e il paradossale rapporto con la morte e l’oblio. Tre idiomi (italiano, inglese e francese) per tre capitoli, e sarà lo stesso cadavere a sforzarsi di ricostruire la propria storia, accompagnato in questo percorso ultraterreno dal contrappunto di un contralto e di un controtenore.
Scritto da Lorenza Accardo