Jonathan Monk è un artista straordinario. Alla sua prima collaborazione con la storica galleria Minini di Brescia viene già definito una bomba nel comunicato stampa, che racconta tutto lo stupore dell’incontro a Berlino tra l’artista e il gallerista da cui questa mostra nasce. E il suo essere fuori dall’ordinario si vede costantemente: sul suo account Instagram vende gli scontrini delle proprie cene, su cui disegna un’opera presa dai suoi modelli del passato, al prezzo della cena stessa (ora potrete trovarli raccolti in un libro d’artista edito da Humboldt books); ad Artissima ha omaggiato lo studio di Salvo esponendoci ristampe dei quadri, in cui cancellava manualmente tutto tranne gli alberi, che venivano poi vendute al prezzo di mille euro per ogni albero rimasto. Ma Monk è sempre stato tanto prolifico quanto imprevedibile, solo a Torino in passato aveva aperto un hotel come tributo a Boetti e al suo Afghanistan, offerto cocktail insieme a Douglas Gordon, coperto lo spazio Quartz di palloni da calcio in compagina di Liam Gillick. Il titolo di questa sua prima mostra bresciana, wall drawing covered by wall (uncovered) contiene tutti i suoi immancabili riferimenti alle pratiche concettuali di artisti che da Minini sono di casa da sempre: accontentiamoci per ora degli indizi – lettere scartate dalle scritte di Lawrence Weiner, rifacimenti di Luciano Fabro con i magneti da frigorifero, ritorni oggi nei luoghi di Robert Barry – e aspettiamo il 26 per rimanere di nuovo a bocca aperta.
Scritto da Marco Scotti