Campo Santa Maria Formosa si trova a nord, dista poco dalla Basilica di S. Marco, e con i suoi edificati fiancheggianti traccia un incastro di tasselli da puzzle che compongono una ragnatela di viuzze che fuggono in infinite direzioni. Bordeggiando la chiesa, in un campiello definito su due lati dall’ubiquità dell’acqua lagunare, si
trova un ponticello che conduce a Palazzo Querini Stampalia, unico palazzo nobiliare veneziano sopravvissuto alla fine della Repubblica, oggi sede della fondazione omonima.
Da generazioni, la famiglia Querini possedeva un patrimonio librario ed archivistico a preservazione della loro identità nobiliare. Vi erano incisioni, incunaboli, cartografie e manoscritti, quando nel 1869 l’ultimo dei suoi eredi, il Conte Giovanni Querini Stampalia, decide di destinare l’intera raccolta familiare a l’istituzione di una fondazione. Questa, composta di museo e biblioteca, avrebbe il compito di promuovere il culto dei buoni studi e delle utili discipline.
Il museo ai piani superiori è un ecumene del patrimonio artistico familiare. Salotti contrastanti in verde e rosa si specchiano su pavimenti in terrazzi preziosi. I muri sono tappezzati di arazzi arricchiti di stemmi dorati dove l’occhio vaga tra i quadri di Bellini, Tiepolo, Longhi, di Credi, composti in un susseguirsi di capolavori scanditi da ceramiche e decorazioni dal gusto raffinato. I toni caldi dei portali e le bordature dorate di cornici e boiseries, compongono una confezione delicata che ricorda una bomboniera.
Invece, le aree adibite a mostre temporanee ed esibizioni, hanno un particolare riguardo per la Venezia contemporanea e diventano col passar del tempo nucleo di dibattito per l’arte e la cultura della città.
Sarà a partire dalla metà del XX secolo che il consiglio direttivo provvederà al restauro di alcune aree del palazzo. Ad oggi, si contano tre esperienze fondamentali per il restauro della Fondazione Querini Stampalia: l’intervento su una parte del pian terreno ed il giardino dell’architetto Carlo Scarpa (1961 – 1963); il sistema di collegamento tra blocchi e piani diversi di Valeriano Pastor (collaboratore di Scarpa, poi direttore dello Iuav); la riorganizzazione spaziale ed il nuovo ingresso
che portano la firma dell’architetto Mario Botta (1994).
La risistemazione dell’ingresso della biblioteca e della scala dei cataloghi, assieme al riordino del giardino vengono affidati a Scarpa da parte di Manlio Dazzi, all’epoca direttore della fondazione. Trascorrono dieci anni dall’incarico ed il cantiere parte finalmente sotto la direzione di Giuseppe Mazzariol, amico e sostenitore del nostro artigiano, neonominato direttore. La sua figura risulterà fondamentale per la storia della Querini Stampalia, che vede sotto la sua direzione il fiorire di un centro per sperimentazione di artisti contemporanei e manifestazioni culturali di calibro internazionale.
In vista della crescente notorietà della fondazione, dispone al piano terra le sale per convegni ed esposizioni. Mazzariol chiama l’architetto Scarpa in cerca di una soluzione al problema infinito che non di rado ammutolisce gli spazi ed il giardino: l’acqua.
Carlo Scarpa metterà l’architettura a disposizione della natura, rendendole omaggio ed esaltando le liquide caratteristiche della terra che inonda Venezia.
Il dialogo materico negli interni esalta le linee elementari di forme che contrastano con le figure del passato. Così, i portali seicenteschi si rifugiano in un letto fatto di sovrapposizioni: le linee ed i dettagli dorati; i cuboidi cementizi; i setti di luce e trasparenze; il sussurro dell’acqua che accosta l’intero percorso.
L’acqua si trasforma in elemento architettonico penetrando la facciata del palazzo nobiliare attraverso delle paratie lungo i muri. Innebbia il confine tra lo spazio interno ed esterno ed appiattisce, con la sua presenza, i materiali accostati che sembrano voler contenerla. La si ritrova raccolta in giardino, specchiata in vasche a livelli sfalsati dove riflette l’azzurro del giorno ed il niveo lunare.
Trova la sua complice nella luce, compagna fondamentale nella lettura dello spazio costruito. Si alberga nelle fessure, nelle lacune che lasciano gli sfalsamenti degli elementi cementizi, per esortarsi in un chiarore soffuso sulle superfici che si slanciano al sole. Nascosta, esalta le geometrie sparse che a tratti sembrerebbero galleggianti. Le tessere marmoree che compongono l’ingresso segnano un percorso che scorre parallelo al canale su cui si affaccia il palazzo nobiliare. Non risulta pulito, poiché le tracce oscure dell’ombra ritagliata dalla vetrata sul canale ballano assieme ai riflessi che procura l’acqua del canale mormorante. Sul lato opposto, una vetrata tenta di sigillare il giardino che risulta, in ogni caso, velato da un muro perimetrale che è sopraelevato rispetto alla sala.
Il giardino, cuore di questo intervento, è minuziosamente composto da Scarpa perfino alla scelta delle specie botaniche ospitate. Il ciliegio, il melograno, la magnolia – sono gli elementi che sostituiscono le vetrate interne e donano filtri alla luce che cerca di raggiungere l’elemento acqua, suo compagno.
E l’acqua risulta così presente che Mazzariol ebbe a scrivere nel 1964 su Zodiac: l’acqua è assunta come un diaframma orizzontale che gradua le altezze obiettivamente mutate dagli spazi. Arrivati a fine percorso e circondati dal mormorio perpetuo dell’acqua sottostante, restano salde le parole dell’ultimo maestro indiscusso dell’architettura del novecento, che ripeteva nelle sue lezioni non bisogna pensare: “farò un’architettura poetica”. La poesia nasce dalle cose in se…