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Chi sta trasformando i muri e la storia di via del Guasto

Lì dove c'era l'erba (e l'eroina) ora c'è - anche - una città

Scritto da Salvatore Papa il 29 maggio 2017

Guasto dal 1507, da quando i detriti e le rovine del distrutto Palazzo Bentivoglio tappezzarono la via, una discarica a cielo aperto di cui nessuno si occupò per secoli. Fino al 1972 (solo cinquecento anni dopo), con il primo progetto di riqualificazione affidato al giardino dell’architetto Rino Filippini, e pure quello sappiamo in che stato versa. Insomma, Guasto lo è da tempo immemore e i tossici sono solo l’ultimo tassello di una storia di abbandono. Da qualche settimana, però, c’è qualcuno che prova a farlo funzionare. In strada c’è un gran via vai e capita addirittura di trovarci qualche incensurato che staziona sorridente anche dopo il calar del sole. Lì dove c’era l’erba (e l’eroina) ora c’è – anche – una città. Succede da quando decine di artisti volontari hanno iniziato a lavorare sui muri della strada e su quelle bacheche che un tempo raccoglievano centinaia di annunci. La chiamata è arrivata da Serendippo, associazione con un lungo curriculum alle spalle e promotrice del progetto R.U.S.Co [Recupero Urbano Spazi Comuni], la stessa che lo scorso anno trasformò l’ex sede dello Zincaturificio Bolognese destinato alla demolizione in un grande museo di street art, solo per dirne una (tutti gli interventi li trovate qui).

Questo nuovo capitolo di Via del Guasto si chiama “Fuori Servizio”.

Mentre i muri continuano a cambiare senza sosta, un paio di residenti imbastiscono una tavolata in strada, alcuni turisti fotografano, due bambini prendono a calci un pallone e qualcuno si ferma a chiacchierare. Cose mai viste.
«Non vogliamo riqualificare – ci racconta Etta Polico di Serendippo – ma rivitalizzare, portare vita nuova nella strada. Una strada che ha una sua identità visiva che non vogliamo snaturare, tant’è che quello che facciamo non è coprire le scritte, ma intervenire nel loro contesto attraverso un processo di stratificazione artistica. Siamo partiti con una call nell’ambito di Poverarte ad aprile 2017, poi siamo andati avanti con quello che è venuto, lasciando dipingere chi ci chiedeva di farlo».

via del guasto

L’ultima opera è apparsa la scorsa notte: una grande murata di Athena che prende un’intero lato della strada. Mancava una latta di nero, ma è arrivata anche quella, come tutto il materiale, donato per adesso dai residenti del Comitato Guasto Bentivoglio, come Paola o Patrizia che qui ci sono nate e vissute e dopo anni di battaglie oggi si sentono di nuovo speranzose. «Certo, qualche soldo ci farebbe comodo, ma non vogliamo recriminare nulla alle istituzioni, perché vorremmo far passare il concetto che siamo noi prima di tutti i responsabili delle nostre strade. L’investimento iniziale è stato di 750 euro, poi abbiamo accolto l’aiuto delle persone che hanno capito l’importanza del nostro lavoro. Si va avanti così per ora, domani vedremo».

Strano a dirsi, ma si respira davvero un’aria nuova, quasi ci si dimentica del mix allucinogeno di sapone e urina. Eppure non tutti apprezzano e qualcuno ha già provato a mettere i bastoni tra le ruote: «Ci sono persone che considerano l’arte comunque come un aggressione allo spazio privato e, nonostante questa sia una situazione protetta perché abbiamo un’autorizzazione per farlo, ci hanno chiamato i vigili. Andiamo avanti però».

francesca alinovi
Francesca Alinovi

Decine sono ad oggi le opere realizzate: La Madonna della Resistenza di Ex Voto Fecit, I polli e Dio di Loris Dogana, Piazza Vetri di Gaia Favari, Guernica di Miles, Le biciclette di Yuri Romagnoli, Francesca Alinovi di Rafe Art, L’angelo del Guasto di Liz Ar Us e tante altre.

«L’idea – ripete però Etta – non è fare un festival, ma essere presenti. Perché periferia non è solo ciò che sta fuori dal centro, ma tutto quello che viene abbandonato e lasciato ai margini. Periferia è, appunto, anche via del Guasto (come vicolo de’ Facchini nel quale lavorammo nel 2009 o tante altre strade del centro), dove la gente viene lasciata sola a gestire il peso di quello che viene comunemente chiamato ‘degrado’ e invece non è che solitudine e mancanza di relazioni. L’arte ha proprio questo scopo: riattivare la connessione tra le persone».

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