Inaugurato nel 1948, forse non tutti sanno che il Cinema Arlecchino vede il suo nome legato a un intervento dell’artista Lucio Fontana. A lui era stato commissionato un mosaico per l’atrio – che aveva appunto le sembianze della famosa maschera – e a cui si era aggiunto un fregio in terracotta sotto lo schermo della sala, che sfruttava le lampade di Wood per restituire tocchi luminosi allo spegnersi delle luminarie. Un dialogo, quello del cinema, che fin dal principio si era aperto alla creatività e all’arte e che oggi, 74 anni dopo, arriva alla parola fine. Non è solo una riflessione romantica e nostalgica quella che si apre, figlia di anni di crisi delle sale cinematografiche, sia per l’arrivo delle piattaforme online, sia per le regole imposte dal 2020. Ma è un pensiero che si intensifica a ogni perdita, a ogni serranda che si abbassa, a ogni atmosfera che perdiamo dentro ogni cinema che chiude. Forse è un luogo che non risponde più alle necessità del pubblico o forse ha solo bisogno di cure e attenzioni, perché conserva una magia nutritiva che non riguarda solo il modo di guardare i film, ma che racchiude un agire collettivo, una forma del nostro tempo e della condivisione lenta.
In ogni caso accogliamo con un briciolo di tristezza questo luogo che ci lascia, sperando che non venga divorato troppo infetta da qualche moda passeggera.
Grazie di tutto Cinema Arlecchino!