Se in una calda giornata di primavera milanese vi viene l’idea di andare al parco, magari con un panino arrabattato al chiosco e qualche libro, decisi a sdraiarvi sul prato a piedi nudi con qualche birra, sappiate che tutto questo è possibile perché tanto tempo fa, nella Milano fin-de-siécle, i milanesi pretesero che l’area di Sempione, allora destinata a piazza d’armi, venisse sottratta all’ingordigia edificatoria dell’epoca per destinarla a parco sulla scia delle grandi città europee.
La storia comincia lontano, quasi mezzo secolo prima. Era il 1851, a Londra, e l’esempio tutto inglese di Hyde Park aveva fatto il giro del mondo rivoluzionando la nozione di paesaggio; un’apparecchiatura di boschi verdeggianti e filari apparentemente casuali, per cui lo smisurato e l’incerto diventarono tendenza e tutto grazie al mezzo di propaganda più potente dell’epoca: l’Esposizione Universale. Quello era l’anno del Crystal Palace di Joseph Paxton, l’enorme padiglione trasparente simbolo dell’Esposizione di Londra che diede inizio in un certo senso alla modernità industriale, sperimentando un nuovo tipo fruizione che apriva le porte della città al globo intero. Storia simile avvenne qualche anno dopo, nel 1873 con il Prater di Vienna, che venne preso come esempio di location dall’altra parte dell’Atlantico per i grandiosi eventi di Philadelphia e Chicago. Insomma, questa fitta trama che lega i parchi con le esposizioni non poteva, seppure con un certo ritardo, lasciare fuori Milano, dove i poster si chiamavano ancora affiche e la pubblicità era la réclame.
L’occasione fu l’inaugurazione del Traforo del Sempione, quando al crollo del diaframma di roccia operai elvetici e italiani si incontrarono sotto al monte Leone, in quella che allora era la galleria più lunga del mondo. In quel momento Milano si sentì finalmente in grado di affermare il suo nuovo status nell’Europa del tempo, e scelse come luogo adatto a celebrare il radicale avvenimento la zona retrostante al Castello Sforzesco, che proprio per questo prese il nome del traforo: Parco Sempione. Fu poi l’architetto Emilio Alemagna a progettare il grande parco, interpretando il giardino all’inglese con un piglio molto italiano, nel sostanziale decorativismo che poco dialoga con i dintorni – come se alla fin fine avesse più valore la scena dai balconi delle villette.
Il parco ebbe la funzione di catalizzatore nel progresso del capoluogo, aprendo il sipario su una nuova epoca di innovazioni e rinnovate speranze.
Nel manifesto ufficiale dell’Esposizione che verrà organizzata quello stesso anno dell’apertura del traforo (1906), disegnato dall’artista triestino Leopoldo Metlicovitz, il dio Mercurio e una gaia Scienza rivolgono lo sguardo verso l’esterno di un tunnel oscuro. Mentre la luce rossa della locomotiva, inarrestabile esaltazione del progresso, illumina le spalle, dall’altra parte e verso la luce si delinea all’orizzonte la guglia del Duomo. L’Italia, come la Scienza e Mercurio, si rese conto di essere finalmente connessa all’Europa Centrale, attraverso la Svizzera fino a Parigi, e Milano divenne così il fulcro chiave, sul fronte italiano, di questa trasformazione. Da un giorno all’altro parole, informazioni e soprattutto un enorme numero di persone avrebbero potuto spostarsi in giro per quell’Europa della belle époque, la cui unica preoccupazione era quella di connettersi, di scambiare, di espandere le proprie relazioni.
Il tema, che attirò l’attenzione dei grandi stati europei ma anche di tutto il mondo, fu dunque quello dei trasporti, cosicché la città lombarda, diventata crocevia decisivo, potesse dimostrare a tutto il mondo la propria avanguardia tecnologica. La progressiva elettrificazione di quegli anni permise infatti alla città di Milano di illuminare e collegare tramite tram anche i quartieri più lontani, e non appena arrivò l’occasione di mostrare i risultati della modernizzazione la città non si tirò indietro, consapevole che avrebbe potuto impressionare i visitatori e al contempo beneficiare dall’evento per lo sviluppo nell’avvenire, ovviamente dentro e fuori il recinto del Sempione. In questo processo il parco ebbe la funzione di catalizzatore nel progresso del capoluogo, aprendo il sipario su una nuova epoca di innovazioni e rinnovate speranze. Cercare di capire l’importanza spaziale di questi luoghi è infatti necessario sia per comprendere il ruolo drammatico che essi hanno fatto proprio nella mise-en-scéne dell’esposizione, sia perché, essendo spazi di rappresentazione globale, hanno contribuito per osmosi a definire il paesaggio metropolitano in cui oggi siamo immersi.
Si può dire che Parco Sempione battezzò Milano per la prima volta come città europea.
La mostra era costellata da fantasmagoriche attrazioni, come toboga acquatici e rappresentazioni di assalti alle diligenze, in un wild west alla Buffolo Bill in cui il cielo, squarciato da aerocicloplani, era oscurato dall’enorme aeronave “Italia”. Lo si capiva subito, però, che lo slogan alla base dell’esposizione non rimaneva confinato all’interno dei padiglioni liberty, ma fuoriusciva dai cancelli del parco, integrandosi nella città come a dire: sì, il futuro non è solo esposto in mostra, ma già intorno a te. Tanto è vero che l’illuminazione serale della “città bianca” contribuiva a creare per Milano un immaginario futuristico, in cui la scienza e la tecnica esplodevano come nel “Ballo Excelsior” di Luigi Manzotti, messo in scena per la prima volta alla Scala vent’anni prima. Gli stessi mezzi di trasporto balzavano oltre i cancelli del parco, creando nuovi collegamenti e nuovi scenari urbani, grazie alla rapidissima costruzione della ferrovia sopraelevata di sette metri da terra che collegava parco Sempione alla Piazza d’armi, dove allora si trovava l’altra ala dell’Esposizione e dove oggi sorgono le tre torri delle archistar. Quattro vetture per quattro treni sfilavano intorno all’arco della Pace per poi infilarsi in via Guerrazzi e proseguire in Via Abbondio Sangiorgio sospesi su una struttura in legno che permetteva alla città sottostante di continuare ad essere sé stessa. Ognuno di essi trasportava duecentocinquanta visitatori che quell’anno, grazie ai dépliant e ai dischi-réclame che vennero inseriti perfino nelle confezioni dei panettoni, furono più di cinque milioni, dieci volte la popolazione della città all’epoca.
Si può dire dunque che Parco Sempione battezzò Milano per la prima volta come città europea, come metropoli, definendo la cornice spaziale e simbolica in cui essa si inserisce e radicando nel quotidiano, prima ancora che nell’immaginario, quell’idea di progresso che ancora oggi rappresenta.
Il valore spaziale del parco come luogo globale di scambio e di cultura che tiene insieme i mondi diversi dell’arte e dell’economia.
Non ci stupiamo, dunque, se nel 1933, in occasione della sua quinta edizione, Gio Ponti e Mario Sironi decisero di trasferire la sede della Triennale da Monza proprio nel Palazzo dell’Arte costruito in Parco Sempione. Nasce così un legame che riallaccia le fila della storia e riconosce il valore spaziale del parco come luogo globale di scambio e di cultura che tiene insieme i mondi diversi dell’arte e dell’economia, come apprezzò l’architetto tedesco Peter Behrens, in una sperimentazione che fa da modello da ottant’anni in tutto il mondo.
La storia dei padiglioni che hanno costellato il parco in questo arco di tempo, come l’essenziale palafitta di Reyner Banham durante la X Triennale, i monoliti del Teatro Continuo di Burri o la stessa altissima torre Branca, ci mostra da una parte la loro natura temporanea e la loro necessità di esprimere nell’immediato lo spirito del tempo, dall’altra anche una curiosa selezione naturale dei manufatti che costituiscono il palinsesto che vediamo oggi se ci aggiriamo tra i viali. Così che all’ombra della torre del Filarete, Parco Sempione continua ancora oggi a essere un luogo ibrido in cui il carattere tutto italiano di giardino delimitato, tara del campanilismo di Alemagna, si apre all’esterno brulicando di energie globali. I suoi ippocastani non si rispecchiano, come a Londra, a perdita d’occhio nelle acque del The Serpentine, e i suoi pesci non sguazzano liberi, ma anche a Milano continuano a nuotare, e chissà cosa potrebbero dire, in via Gadio 2, da quell’acquario che oramai è l’unico testimone rimasto dall’Esposizione internazionale che lanciò Milano nella modernità.