Attraversando le principali manifestazioni artistiche di quest’anno, penso alla Biennale Arte, al Festival d’Automne e l’imminente FAROUT, il festival multidisciplinare in arrivo a BASE Milano tra meno di un mese, sembra che i linguaggi artistici e espressivi siano sempre più consapevoli dell’urgenza di affrontare il peso delle disparità sociali, degli abusi del capitalismo e di una società sempre più individualista e concentrata sulla produttività, che ha perso la voglia di condividere e di comunicare.
Proprio FAROUT, il festival curato da Base oggi alla sua quarta edizione, si presenta con il titolo “The Convivial Laboratory” dal 3 al 13 ottobre 2024, pronto a lanciare forti campanelli d’allarme sull’epoca che stiamo vivendo, inabitabile e dissociata. Il festival però, come solo le forme di espressione sanno fare, reagisce e cerca di proporre nuovi modi di abitare l’ambiente, di condividere il tempo e di creare circostanze diverse da esperire insieme, anche con una vera e propria “scuola del convivialismo”, che prevede momenti di formazione e confronto sul tema paralleli al festival. Ne abbiamo bisogno? Decisamente sì. Funzionerà? Probabilmente sì, per due motivi: da un lato gli artisti in programma, provenienti da settori e Paesi diversi, propongono opere molto a fuoco sul tema, con l’intento dichiarato di sovvertire la solita fruizione solitaria e formale, ricreando piuttosto un ambiente di interazione diretta e di scambio, dall’altro perché i prezzi dei biglietti sono accessibili, elemento da non dimenticare quando si vuole creare una comunità numerosa intorno a una proposta.
Un festival che porta a riflettere attraverso le storie, come “Dear Laila” di Basel Zaraa, un’installazione sonora pensata dall’artista per far immaginare alla figlia di cinque anni la casa d’infanzia in cui non potranno mai tornare, essendo rifugiati nel campo di profughi palestinesi a Damasco; assisteremo poi a un tentativo di sovvertire gerarchie e relazioni fra i partecipanti (sia performer che pubblico) nel lavoro della coreografa brasiliana Alice Ripoll; intento comune della performance di cinque ore di flusso sonoro di Mombao, da fruire da sdraiati e da vivere a metà tra performance e rituale. Interessante lo sguardo critico nel lavoro di AKZONATOLOZA, che evidenzia il forte legame esistente tra le fortune delle multinazionali, lo sfruttamento incessante delle risorse naturali e le persone che ne subiscono le conseguenze, passando invece alle performance più astratte di Nunzia Picciallo e Martina Rota, entrambe autrici e interpreti di lavori coreografici dove è il corpo a essere protagonista di una forma generativa del nuovo, così come l’attesa lecture-performance acheo-futurista di Muta Imago.
Da non dimenticare il festival nel festival, una due-giorni dal titolo PRESENT! incentrata sull’accessibilità e sull’affermazione identitaria, che attraversa temi come la malattia e la disabilità. Per chi vuole fare tardi non mancano i party curati da Le Cannibale, di cui il primo,in apertura il 3 ottobre, vede il live del (recentissimo) duo I Canzonieri, che inizierà alle 21, subito dopo il già molto acclamato lavoro di Mette Ingvarsten “The Dancing Public”, un’esplorazione del movimento estatico all’interno degli incontri sociali. Tutti pronti alla collisione: FAROUT sta approdando a Milano.