Ad could not be loaded.

Fuorisalone: una storia fatta di storie

Dagli anni Settanta a oggi: dentro, fuori e attorno al design

Scritto da Paolo Ferrarini il 29 marzo 2017
Aggiornato il 12 marzo 2019

Cappellini, 2005

Foto di Paolo Ferrarini

La Milano Design Week rappresenta senza alcun dubbio il più importante appuntamento mondiale del design e uno dei motori creativi (ed economici) di Milano. Si tratta di un fenomeno grande come una città, che coinvolge la fiera ma anche tutto il resto, il “dentro” e il “fuori”, la dimensione chiusa e professionale che si calibra con una parte popolare e aperta.

La prima locandina del Salone del Mobile, 1961. Già allora andava di moda il nero a Milano
La prima locandina del Salone del Mobile, 1961. Già allora andava di moda il nero a Milano

Tutto parte nel 1961, con la nascita del Salone Internazionale del Mobile, una fiera dedicata ai produttori di mobili, brianzoli e non solo. Fin dalle origini circa la metà dei visitatori erano stranieri, attratti dalla capacità tutta italiana di unire bello e ben fatto. Ma se la fiera è da sempre un’ottima occasione per mostrarsi al meglio, se si hanno tante cose da dire forse non basta, oltre a quello che c’è dentro viene voglia di esplorare il mondo all’esterno. Come ci racconta Andrea Davide Cuman nei suoi fondamentali studi sulla storia del Fuorisalone, la prima azienda a rendere concreta questa tensione è stata Cassina, che già negli anni Settanta decide di sfruttare il proprio show-room, in contemporanea con il Salone ma in centro, per mostrare prodotti insoliti e intrattenere gli ospiti in una dimensione più informale. L’esperimento di Cassina ha successo e pone le basi per una singolare sinergia tra fiera e città.

Abitare, 1983
Una copertina di Abitare, 1983

Poi arrivano gli anni Ottanta, quelli della Milano da bere e da guardare, che si apre al mondo e osa sperimentazioni inimmaginabili solo pochi anni prima. Alchimia e Memphis presentano il loro lavoro innovativo in maniera altrettanto innovativa, esponendo al Politecnico e alla galleria Arc 74. Il Salone-fuori-dal-Salone cresce bene e l’imprimatur arriva da Abitare, che nel 1983 dedica parte della rivista proprio a una strana cosa che gli addetti e gli appassionati chiamano già “Fuorisalone”.
Più che un “salon des refusés”, il Fuorisalone diventa lo spazio espressivo di persone talmente assetate di design libero da volersi cercare uno spazio alternativo, senza vincoli, slegato dalle regole tipiche di un evento commerciale. Meraviglioso effetto collaterale: i giorni del design non sono più soltanto esclusiva di architetti, designer e commercianti ma si aprono ad appassionati e curiosi. Allo stesso tempo arrivano giovani sperimentatori da tutto il mondo, designer ad alto tasso di creatività e basso budget. Ed è così che divertimento e intrattenimento diventano parte integrante dell’esperienza del Fuorisalone.

Le classiche bandiere di Interni
Le classiche bandiere di Interni

Nel 1990 Gilda Bojardi di Interni organizza il primo palinsesto parallelo al Salone, la Designer’s Week. Si tratta di un calendario di eventi coordinati negli show-room cittadini. All’inizio si teneva a settembre, proprio come la fiera, ma dopo pochi anni Salone e Fuorisalone si sono spostati in primavera, dando alla Design Week la sua forma definitiva, quella che viviamo e amiamo ancora oggi.
Proprio per la sua natura spontanea il Fuorisalone ha generato tantissime esperienze, tra cui quelle dei distretti. Associazioni, studi di progettazione e di comunicazione si sono fatti promotori di attività sul territorio che hanno trasformato la percezione di interi quartieri. Il caso più noto, il primo in ordine di tempo, è quello di Zona Tortona. Nel 2000 Gisella Borioli e Giulio Cappellini decidono di aprire al design le porte di Superstudio, fino ad allora mecca riservata alla produzione di moda. Le presentazioni e le feste di quegli anni pionieristici hanno il sapore del mito nel racconto di chi le ha vissute. Gli eventi di Cappellini erano il vero e proprio clou del Fuorisalone, l’evento al quale non si poteva mancare perché si incontravano tutti, grandi designer e industriali, nomi emergenti e giornalisti, festaioli e intellettuali. L’effetto attrattivo è inarrestabile al punto che designer e aziende fanno a gara per accaparrasti uno spazio in zona. Luca Fois (fondatore di Recapito Milanese) sfrutta questo effetto e lancia il progetto Zona Tortona. I cerchi rossi, la segnaletica dedicata, il ponte di ferro, il vino e la birra gratis, gli studi aperti, gli appartamenti pieni di gente e di oggetti, i luoghi più insoliti trasformati in spazi espositivi sono depositati nella memoria di tutti i visitatori del quartiere e hanno dato il via al fenomeno delle zone del Fuorisalone. Negli anni 90 abbiamo esplorato per la prima volta l’ex Ansaldo (la sede di Base) e visitato per tutto il quartiere quei capannoni che allora erano pieni di macerie e oggetti di design, ma oggi sono sede di fondazioni, uffici stile e uffici stampa di grido.

Muji, 2003
Muji, 2003

Zona Tortona è stata testimone anche dello sbarco italiano di Muji. Per i milanesi amanti del design era uno status symbol, che testimoniava pellegrinaggi se non in Giappone, almeno a Londra o a Parigi. Quando nel 2003 si è sparsa la voce che al Fuorisalone ci sarebbe stato uno stand di Muji in via Stendhal, molti hanno iniziato a sperare che presto avrebbero potuto comprare i mitici contenitori trasparenti anche in Italia. Ma il vero isterismo si è scatenato l’ultimo giorno di esposizione: tutto quello che era in mostra poteva essere prelevato dai visitatori. Parliamo di era pre-social, ma è partito un passaparola tale che in poche ore tutto l’allestimento aveva trovato casa negli studi e negli appartamenti milanesi.
Lungo il corso degli anni Duemila sono comparsi per le vie del quartiere bruchi gonfiabili giganteschi, installazioni urbane, strutture luminose che hanno reso anche le strade il luogo ideale per fare festa. E molti hanno iniziato a storcere in naso e a parlare di “Sagrone del Mobile”.

Ma l’area dietro Porta Genova non è l’unico luogo in cui divertirsi. Ormai da decenni, per vedere e per farsi vedere non si può non andare al Bar Basso, soprattutto se si vogliono incontrare i designer stranieri. Serate a base di Negroni Sbagliato e Mangia e Bevi sono un must e qui si narrano leggende di amori iniziati e amori finiti, contratti promessi e contratti firmati. Ma non tutto si può raccontare, al punto che la designer francese Ionna Vautrin ha detto in un’intervista: “What happens at Bar Basso remains at Bar Basso”.

Domus a San Siro
Domus a San Siro, 2005

All’inizio degli anni Duemila – anni d’oro di festival e mega concerti – sono arrivate anche le ciclopiche feste di Domus: le prime si sono tenute nei capannoni abbandonati di via Mecenate, laddove ora ci sono gli studi della Rai e la sede di Gucci. L’apice si è avuto nel 2005, quando Domus ha addirittura occupato San Siro. Esatto, lo stadio Meazza, dove le celebrazioni si sono svolte dalle 6 di sera alle 6 di mattina. Un delirio organizzato che ha coinvolto artisti quali Matthew Barney e Arto Lindsay, oltre a dj, fotografi, musicisti e performer. Al centro del campo di gioco c’era un microfono ed era possibile avvicinarsi uno alla volta e urlare quello che si voleva. Roba da sentirsi rockstar almeno per qualche secondo. Non meno memorabili le feste di Esterni, che si appropriavano temporaneamente di aree in fase di passaggio o costruzione. A varie riprese hanno animato il cantieri, i tunnel stradali al di sotto della Stazione Centrale, la gigantesca area vuota di fronte alla Stazione di Porta Garibaldi prima che nascesse piazza Gae Aulenti.
Come tutti i grandi fenomeni collettivi ci sono dei cicli inesorabili e a metà decennio le feste da migliaia di persone – comprese quelle di Cappellini – sono finite, ma con un ultimo grandioso botto. Nel 2005, quando Cappellini è ormai entrata a far parte di Poltrona Frau Group, un’ultima gigantesca celebrazione avviene nel palazzo delle Regie Poste, quello accanto alla Stazione Centrale che oggi è stato trasformato in un centro direzionale. Migliaia di ospiti erano radunate in una location incredibile, il palazzo degli uffici postali in tutto il suo decadente splendore. Lo spazio era ancora arredato con i vecchi mobili e attraversato dai binari sospesi che avevano trasportato milioni di lettere da e per i milanesi.
Negli anni successivi le feste di apertura del Fuorisalone si sono spostate in Triennale, ancora una volta con Cassina. Poter partecipare a questi opening segnava la differenza tra chi contava e chi no nel mondo del design. Sono anche gli anni delle feste ai Magazzini Generali, dove si andava a far tardi e a scambiarsi informazioni sulle cose da vedere e quelle da evitare.

Il passaggio di decennio, quello agli anni ’10, ha visto l’arrivo delle stampanti 3D e dei discorsi sulla
sostenibilità, nuovo mantra del mondo del design. Ma questo non ha distolto l’attenzione dal divertimento, magari condito con un po’ di tecnologia. Lo sa bene Heineken che nel 2012 ha lanciato “The Club”, un locale futuribile ma reale, realizzato con il contributo di giovani designer di tutto il mondo all’insegna della coprogettazione.

Heineken, 2012
Heineken, 2012

Si poteva ballare (e bere) da mattina a sera per tutta la Design Week. Era possibile ordinare la birra semplicemente appoggiando una mano sul bancone interattivo, vedere le bottiglie cambiare colore e decorazione in base alle luci, appoggiarsi a pareti che cambiavano colore a seconda di chi le toccava. Anche Nike ha scelto il Fuorisalone per lanciare i sui progetti più innovativi, come le Flyknit, con istallazioni al Nike Stadium di Brera, ma anche occupando spazi industriali fuori dal centro. Le sue installazioni sono sempre state caratterizzate dell’arte e della musica, regolarmente accompagnate da serate memorabili con dj e artisti di fama internazionale. E sempre a proposito di musica, come dimenticare il Design Week Festival di Elita? Nonostante la stanchezza accumulata in ore e ore di camminate per il Fuorisalone, un salto al Franco Parenti, al Tunnel o in uno delle numerosi luoghi in giro per la città è d’obbligo. Ma se resta ancora un po’ di energia si può passare al Love, dove sicuramente si troverà un giornalista straniero, un artista che ha appena chiuso la sua mostra al Guggenheim, un designer da copertina, il direttore creativo di quell’azienda dove molti giovani designer sognano di lavorare un giorno.

Helsinki Design Capital 2012
Helsinki Design Capital 2012
Negli ultimi anni le vere feste da non perdere si sono spostate dai capannoni abbandonati ai palazzi storici del centro. Non più folle oceaniche, ma anche cene esclusive per pochi invitati internazionali che hanno modo di scoprire la bellezza di luoghi come – tra gli altri – Palazzo Cusani e Palazzo Serbelloni. Se è vero che a Milano “food is the new fashion”, questo fenomeno ne è la prova. Non si può dimenticare “Supperscene”, la cena allestita nella vetrina di Spazio Pontaccio nel 2014 in cui si poteva consumare il cibo preparato da Matias Perdomo negli oggetti disegnati da molti dei 50 fortunati invitati. Ma negli ultimi 10 anni si sono viste cene a base di specialità finlandesi per il lancio di Helsinki come capitale del Design, chili di orecchiette per promuovere il design pugliese, pasti a base di soli cibi neri e champagne in un appartamento scurissimo di Brera, frullati fatti con frutta esotica colombiana che per i primi giorni della settimana faceva parte integrante dell’allestimento.

Il Fuorisalone è da sempre un termometro del cambiamento, una vetrina della creatività tutta, una parata di oggetti e idee di ogni settore. La sua apertura alla città e la sua vocazione democratica propongono una formula che sta diventando esempio per la moda e per l’arte (basta vedere in che direzione stanno cambiando Fashion Week e MiArt). Una settimana del design che è come la Settimana Enigmistica: “vanta innumerevoli tentativi di imitazione”. In Italia e all’estero sono tantissime le design week che tentano di riprodurre il sistema di Salone+Fuorisalone, ma senza riuscirci. La strana e unica simbiosi alchemica che accade a Milano pare non funzionare altrove, dove non c’è una base istituzionale forte, dove non c’è il rapporto tra produzione e ideazione del design che rende unica l’Italia, dove manca un fenomeno sociale e culturale spontaneo, cresciuto in maniera costante e organica nell’arco di 30 anni, tra progetto e divertimento.

Il Fuorisalone è un organismo pulsante, nato dal glorioso Salone del Mobile, cresciuto grazie al contributo di una città intera, nutrito e ammirato da tutto il mondo del design da oltre 30 anni. Al punto che oggi si inizia già a parlare di Fuori-Fuorisalone, un luogo sempre più libero, forse persino immateriale. Ancora non sappiamo cosa potrà essere, ma sicuramente sarà pieno di trasformazioni e sorprese che non vediamo l’ora di vivere fino in fondo.