I castelli sono simboli, cartine tornavento dell’andamento politico e sociale di un territorio e quindi custodi degli strati che la storia inevitabilmente genera.
Nel mio immaginario, per vari motivi, sono sempre stati su punti rialzati: collinette, scogliere, promontori, ogni altura è destinata allo sguardo lungo e protettivo di un castello. Ma in effetti non avevo mai preso in considerazione il fatto che se tutto intorno a te è piatto come una tavola, ti serve un punto di vista diverso sulle cose, tipo dalla cima di una torre. E se nessuna escrescenza naturale ti circonda per proteggerti, ecco che ti costruisci delle solide mura.
Questa città è un rompicapo, un insieme di peculiarità uniche in un paese per molti aspetti omogeneo, Milano è la pecora nera, è diversa perché non è nulla di quello che ha intorno ma non è neanche simile a quello che sta più lontano. Non imita e non riproduce modelli altrui ma si costruisce tutta una proiezione a sua immagine e somiglianza. Forse è anche per questo che da sempre, dall’origine della sua storia, accoglie chiunque ci passi senza chiedere nulla ma lasciandosi vivere in modo volubile così da non essere nessuno tranne che se stessa. Un’amante potente che ti invita a entrare e a restare, che ti vuole solo fino a quando hai qualcosa da dare. Se parti o se perdi, non ti verrà a cercare, lei si basta e sta già pensando ad altro. E il suo castello non può essere altro che tutto questo: una fortezza che è passata di mano in mano, arricchendosi a volte e perdendo pezzi altre ma che, per la città, non ha mai voluto essere inespugnabile.
Fontana zampillante, fili d’erba livellati ad arte, la ghiaia delle corti pettinata e un grembo mattonato gravido di storia.
Dal principio: questa storia non inizia con il primo mattone ma con una fortificazione romana costruita per proteggere l’insediamento (perché ora ce lo troviamo in mezzo alla città, ma inutile dire che prima non lo era) che, tra il 1368 e il 1370 (Medioevo), subisce il primo rimaneggiamento per volontà di Galeazzo Visconti e da quel momento fino all’800 inoltrato, sarà tutto un assemblare pezzi e capricci. La struttura del Castello che vediamo oggi infatti racconta un insieme di periodi diversi accorpati così come serviva. Per lungo tempo è stato un luogo dedicato agli eserciti più che ai sovrani ma dal ‘400 in avanti è stato un susseguirsi di ordini per distruggerlo e ricostruirlo perché questo Castello è sempre stato, per gli abitanti della città e i potenti di turno, simbolo di sottomissione e possesso, rivalsa e affermazione. Tutto e il contrario di se stesso che ha portato a un’architettura discontinua e a tratti frammentata, con tre grandi corti interne di dimensioni diverse, spesse mura, torri tondeggianti agli angoli, altre aggiunte dopo (suggerisco la storia della Torre di Bona di Savoia, fortezza nella fortezza) e il famoso fossato morto.
Passando per i nomi che hanno fatto la storia, dopo i Visconti e la Repubblica Ambrosiana arrivano a Milano gli Sforza (dal 1450), non così amati, che hanno fatto del Castello la loro roccaforte, arricchendo gli esterni ma portando anche all’interno alcuni degli affreschi che ancora viviamo, tra cui la Cappella Ducale a opera di Bonifacio Bembo.
Ma come dicevo Milano è una vera soap opera, non solo degna dei Promessi Sposi che tutti abbiamo studiato e in cui il Castello viene solo citato di sfuggita nella rivolta dei fornai, ma perché di secolo in secolo, se non meno, passa di mano in mano lasciandosi trasformare ma senza mai compromettersi: una donna di carattere che appartiene solo a se stessa, nonostante la sua anima lasciva. E quindi arriva Il Moro che crede nell’anima rivoluzionaria e generatrice della cultura e delle arti e ingozza letteralmente la città di tutto il meglio che il nostro paese ha da offrire, tra cui gli orgogliosi lasciti di Leonardo Da Vinci (uno di noi, un milanese doc per attitudine al lavoro e al fatturato) e il Bramante (più romantico ma non meno determinato). E poi niente, sono arrivati gli stranieri ed è stato il momento degli spagnoli, degli asburgici e poi i francesi con il loro Napoleone, che però del Castello non voleva saperne e ne ordinò la demolizione. Ciao ciao.
Come dicevo, il Castello Sforzesco è sempre stato poco amato e più volte ne è stata suggerita o effettuata una parziale demolizione, simbolo di qualcosa che nessuno riconosceva, ha comunque continuato a occupare un ruolo necessario, perché capire “chi non si è” è altrettanto fondamentale. Dall’800 la sua storia inizia a virare verso la direzione che conosciamo oggi: ritorna a un uso militare, con l’aggiunta di una piazza d’armi, dell’Arco della Pace di Cagnola dedicato a Napoleone e poi la virata Austriaca con l’implemento di prigioni, armerie e cortine.
Ma il passaggio al Regno d’Italia era ormai prossimo e, anche se Milano era segnata da questo suo essere passaggio, attraversamento necessario, isola nella corrente, era ed è comunque italiana e lì ha trovato il suo posto. Il Castello è stato rivalutato come polo culturale con un accentramento di musei e progetti dedicati al pubblico oltre che una valorizzazione dell’architettura, degli interni e del verde che lo circonda.
Ad oggi il Castello Sforzesco è impeccabile: un colosso di dignità che si spalanca sul polmone verde della città di Milano – Parco Sempione – ha la sua fontana zampillante, i fili d’erba livellati ad arte, la ghiaia delle corti sempre pettinata e porta in grembo molti dei brandelli di storia di questa città, così fustigata dai venti e dagli umori passati. Nel suo cuore è racchiuso anche uno dei capolavori più toccanti, acerbi e sublimi giunti fino a noi: la Pietà Rondanini di Michelangelo. Opera rimasta incompiuta secondo i canoni dell’epoca ma che, nei suoi tratti mancanti, apre voragini di possibilità e di struggente fragilità. Ma la Pietà è solo uno dei gioielli conservati oggi tra quelle solide mura: una rosa di musei, archivi e biblioteche si apre infatti tra fossati e merletti, arricchendo notevolmente il patrimonio storico e culturale della città di Milano. Tra gli imperdibili sul versante arte troviamo il Museo d’Arte Antica e la Pinacoteca; ma come le più rinomate delle corti, nel Castello si snodano diversi livelli di sapere come il Museo degli Strumenti Musicali, dove incontriamo un vero e proprio archivio vibrante e delicato dedicato all’arte del suono antico e moderno, comprese le spoglie dei macchinari dello Studio di Fonologia della Rai di Berio e Maderna. Mentre affondando lo sguardo nella storia troviamo il Museo Archeologico – sezione Preistorica, Protostorica e Egizia, Archivi fotografici, sezioni dedicate alle parti lignee e a quelle decorative.
E poi c’è tutto il fascino di un Castello, ovvero quella capacità unica delle fortezze sferzate dal tempo di assorbire i ricordi e la storia nelle mura e di rilasciarli nei secoli, con le sue atmosfere, i profumi che sembrano aleggiare nell’aria, dalle centinaia di candele per illuminare allo stufato dei banchetti, le carrozze, i cavalli, i guerrieri, le prigioni, gli abiti: non c’è più nulla ma si sente ancora tutto.