Spazio, luogo e scultura. Ho conosciuto Anna Galtarossa nel 2010, mentre, insieme ad Arianna Baldoni, lavoravamo su un’importante panoramica della scultura italiana dell’ultimo ventennio, curata da Marco Meneguzzo, La scultura italiana del XXI secolo, alla Fondazione Arnaldo Pomodoro a Milano. Tra “il cavallo” di Maurizio Cattelan, “l’uccellino”, nella parete opposta, dei Vedovamazzei, le perle di Paola Pivi e una delle prime strutture leggere di Alice Cattaneo o Patrick Tuttofuoco, i totem colorati di Anna Galtarossa emergevano all’interno di uno spazio ampio e complesso.
Il luogo dove vengono prodotte e accolte le sculture di Galtarossa è dunque importante.
La relazione spaziale delle sue sculture ha sempre avuto un aspetto quasi architettonico, oltre che intimamente totemico. Il luogo dove vengono prodotte e accolte le sculture di Galtarossa è dunque importante. Negli ultimi anni l’artista elabora, inventa, crea, gioca, contamina uno spazio personale e speciale per la sua ricerca artistica: una meravigliosa casa studio che, oggi, si può considerare la sua più completa e indicativa opera d’arte. La villa, anzi, la “casa delle meraviglie” (“AD Italia”, Olivia Fincato, 6 novembre 2023), nel territorio del Valpolicella, è il luogo prescelto da Anna per lavorare. Ereditata dal nonno, l’artista, dopo diversi anni di viaggi per il mondo e dopo aver a lungo vissuto negli Stati Uniti (dove collabora con Spencer Brownstone Gallery) e in Messico, ha deciso di creare un progetto dove arte e rigenerazione di un luogo storico potessero coincidere. Dal suo loft newyorchese alla villa seicentesca di San Pietro in Cariano. Questo luogo speciale, fatto da grandi saloni che si susseguono, di colori, tessuti che delineano dei percorsi tracciati, piante, antichi mobili e nuove energie, è una responsabilità da mantenere viva. Anna, insieme alla sua famiglia, la cura e ci lavora.
Negli anni le opere hanno modellato lo spazio, integrando storie e ricordi. Accumuli di materiali, sia trovati, riciclati, sia acquistati nei più improbabili posti. Glitter, tessuti, sticker, matasse, fili di lana, totem, libri, rami, fotografie, ritratti di avi alle pareti, la serie di opere in mylar di Daniel González, collezioni di lance o ceramiche, ricordi, cataloghi… Un macro-mondo stratificato da osservare con minuziosa cura, scovando pezzo per pezzo, traccia dopo traccia, per poi immaginarla nel suo insieme totalizzante. In questo modo si possono cogliere le diverse culture, estetiche e periodi che Galtarossa ha indagato e rielaborato. Come in un grande caleidoscopio, percorrendo tra i saloni, le stanze da letto, i salotti, i bagni, lo scalone costituito da diversi marmi provenienti dal Veneto, si incontrano “divinità domestiche”, eleganti tappeti e arazzi – corpi di lavoro frutto dell’ultimo periodo di ricerca di Anna – pon pon applicati su borsette della nonna, strati di materiali, elementi naturali come rami o piante, spille, gingilli, lane, cotoni e sete, e poi gli arazzi.
Grandi montagne che esplodono, tratteggi colorati a segnalare percorsi, colori affiancati e intrecciati tra loro.
Arazzi. A Verona, nella galleria storica con cui Galtarossa collabora dagli anni duemila, gli straordinari tappeti realizzati appositamente per la mostra personale, svettano nella grande sala (in mostra fino al 16 ottobre 2024). Studio la Città diventa una cattedrale bianca che accoglie grandi ed elaborate creazioni. Al piano di sopra, la fondatrice della galleria Hélène de Franchis ci attende per raccontare, insieme ad Anna, gli ultimi percorsi della galleria, nazionali e internazionali, e il ritorno dell’artista, dodici anni dopo il suo primo progetto personale. Gli arazzi sono grandi composizioni colorate, raffinate, realizzate insieme alle tessitrici dello storico laboratorio sardo M/U Mariantonia Urru con la tecnica del pibiones, in lana e cotone. Grandi montagne che esplodono, tratteggi colorati a segnalare percorsi, colori affiancati e intrecciati tra loro. Alcuni accostamenti di tonalità sono azzardi tecnici che, realizzati a mano sul tessuto, sono estremamente complessi da finalizzare. E, invece, Anna Galtarossa, procedendo tra la sua esperienza nei materiali e il loro assemblamento, insieme a una grande vivacità nella sperimentazione, riesce nell’intento di innovare la resa su queste superfici che sembrano quasi pittoriche.
Gli arazzi sono infatti dei grandi paesaggi, o ampie narrazioni, tridimensionali per via del tessuto minuziosamente elaborato, ma, appunto, grafiche nell’impatto estetico quasi all over. Arancioni mischiati ai bordeaux, i fucsia con i rossi, un cuore, una figura antropomorfa, un’altra vegetale. Gli stessi soggetti che appaiono nelle sculture più storiche di Galtarossa. Quelle “borsette delle nonne” iconiche dove strati di materiali, piccoli oggetti e tessuti, simboleggiano micromondi a volte alieni altre, rigorosamente legate alla cultura di casa, creano dei codici riconoscibili. Ancora, negli arazzi, si scorge anche qualcosa di marino: i blu intrecciati agli azzurri, gli sfondi puliti che ricordano flussi d’acqua. E poi gli Antenati, tre figure totemiche che sbucano a loro volta da una borsa. Questa volta però non è una scultura. La narrazione è raffigurata su un arazzo di quasi due metri di altezza. I colori qui sono più cupi: dai marroni della terra, sia quella sarda che quella del Valpolicella, ai blu densi delle marine. Testa del mostro – quasi un ossimoro rispetto al titolo – è colorato e gioioso. I gialli, gli arancioni e gli azzurri che si ripetono su forme diverse (tondi, trattini, palline), enfatizzano la forza del materiale e la visione vivida dell’artista, ribaltando la paura dei fantasmi del passato e dei misteri di altri mondi in qualcosa di piacevole. Ci sono anche delle raffigurazioni di Kamchatka, un titolo frequente che Galtarossa riprende sin dalla personale, a cura di Anna Daneri, in Viafarini a Milano realizzata nel 2005. Anche la Gigantessa guarda il suo fruitore dall’alto, mettendolo alla prova obbligando a uno sguardo verso l’alto. Nella personale a Studio la Città non mancano le sculture: Skyscraper nursery – Nursery helmet puntella lo spazio con ironia ed eleganza. Come un alter ego dell’artista che, posto in un punto strategico dello spazio, osserva i suoi colleghi, facendo il punto della situazione.