Claudio Moretti, Sabina Rizzardi e Flavio Biz, i librai della Marco Polo, sono stati tra i primi in Italia a ripartire, a metà aprile, restituendo al centro storico di Venezia un nuovo baricentro, un nuovo approccio alla socialità e alla cultura. Lo hanno fatto senza staccare mai le mani dalla tastiera, «scrivendo un sacco», raccontano, «ogni giorno». Abbiamo scelto di ospitare un estratto da questo elegante flusso di pensieri, con la consapevolezza che la nostra nuova vita post-coronavirus non potrà mai prescindere da quei “beni primari” che i “nostri” librai custodiscono tra i loro scaffali. E quindi è da qui, che si riparte, per una città dove ha ancora senso parlare di sostenibilità, cultura e futuro.
11 marzo 2020, chiudiamo tutto, spegniamo tutte le luci, togliamo tutti i libri dalle vetrine, ammainiamo le bandiere e ci chiudiamo in casa, ci salutiamo davanti alla libreria Marco Polo di Campo Santa Margherita, sapendo che ci saremmo certamente rivisti, la domanda più e meno velata: ci saremmo rivisti ancora come librai? Tre mesi fa, per un certo verso, si è fermato un mo(n)do.
30 marzo 2020, dopo tre settimane di stop lunghe come tre anni ma, adesso ci pare di poter dire, necessarie alla riflessione e alla ristrutturazione di un corpo, torniamo in libreria come ci è possibile, accendendo le luci, mettendo i libri in vetrina, facendoci probabilmente uno dei caffè più buoni di sempre, riorganizziamo velocemente il lavoro. Cominciamo a ricevere richieste, a consegnare libri in città e a spedirne fuori, cominciamo col disegnare cuori sui pacchi per dire “Grazie”, cominciamo a macinare chilometri a piedi, disegnando una mappa mentale di Venezia; con il layer del lettorato, per la prima volta scopriamo, con divertimento e sorpresa, la geografia veneziana della lettura. Cominciamo a cucire mascherine e scopriamo di poter fare ancora i librai, i librai mascherati, e cominciamo a scrivere, in questi tre mesi abbiamo scritto tantissimo, per tornare, nascere, elaborare, organizzare: le idee per farle diventare procedure e pratiche di accoglienza e sicurezza, lo spazio che conosciamo molto bene ma che è diventato altro, i movimenti come passi di una danza da imparare. Dal 14 aprile ci è stato possibile riaprire, le librerie sono state le prime attività a poterlo fare, prima due giorni a settimana, poi dal 27 aprile sei giorni. Non abbiamo avuto dubbi: lo spazio della libreria, certo uno spazio di vendita, in cui però si scambia relazione e significato, va restituito alla città, una prima prova di libertà da cogliere al volo, per dimostrare che la distanza è fisica ma la vicinanza è sociale.
Oltre alle norme per la riapertura fornite dai decreti, le altre regole, per la nostra sicurezza e quella delle lettrici e dei lettori, le abbiamo adattate e fatte noi, siamo stati pronti, a imparare insieme a vivere di nuovo la libreria. E allora ecco che sono nate le fasce orarie per accerdervi; la libreria durante l’orario di apertura diventa protetta, per le categorie a rischio e le persone over65, si trasforma in dedicata, per chi desidera viverla in solitaria o incontrare tre amici che non vede dall’inizio della quarantena, può prenotarla tutta per mezzora, e infine torna libera con l’accesso di quattro persone alla volta.
Prime prove di libertà da non farsi scappare in una città come Venezia che certamente, per costituzione, lo consente. Come è stato piacevole leggerlo, e trovare le parole semplici e giuste per dirlo, in Venezia Secolo Ventuno dell’architetto Sergio Pascolo, un libro tutto made in Venice, uscito il primo di maggio 2020 per la casa editrice Anteferma e stampato da Grafiche Veneziane. Venezia è già eco-socialmente pronta per il futuro, e si dimostra pronta anche per vivere benissimo la quarantena, una città fatta di prossimità, dove è possibile stare distanti fisicamente e vicini socialmente, dove i diversi traffici sono separati, dove con 20 minuti di cammino si trova ciò di cui si ha bisogno, che ha già quello per cui le altre metropoli stanno investendo e cambiando per arrivare alla qualità di vita che qui sperimentiamo quotidianamente. Come ha ben detto lo scrittore Tiziano Scarpa ospite di Nowtilus. Storie da una laguna urbana del 21esimo secolo, la serie di podcast condotta da Enrico Bettinello per Ocean Space e curata con Alice Ongaro Sartori, i migliori libri su Venezia sono quelli scritti dai tecnici, per questioni di vista e visione. Bisogna liberarsi della Venezia gonfiabile e gonfiata per accorgersi che nel nome di Venezia è possibile anche viverci e viverci molto bene? Qualche giorno fa in un’intervista ci sentiamo dire “Pensa quante persone con lo smart working potrebbero venire ad abitare Venezia, disegnando così ancora un’altra Venezia possibile”.
Avendo deciso di fare i librai, abbiamo una certa familiarità con la probabilità del cambiamento, sappiamo infatti che per la natura stessa di quello che trattiamo, i libri e la lettura, la situazione economica può cambiare velocemente, ognuno di noi tre ha svolto diverse professioni prima di unirci e di diventare libreria Marco Polo. La nostra è una realtà commerciale che si basa, da sempre, su più gambe: residenti, studenti, viaggiatori. Forse è per questa ragione che abbiamo scoperto che la libreria è più antifragile rispetto ad altre attività, in una città in cui la maggior parte delle realtà ha come unica vocazione quella turistica, una città che da qualche giorno vediamo cambiare, la libreria di Campo Santa Margherita è giusto in mezzo ad un atm che chiude (o si sposta non l’abbiamo ancora capito) e a un intero palazzo dedicato all’accoglienza turistica che comincia a essere svuotato. Per far tornare la città a regime, la domanda che sentiamo spesso in giro è “Come e quale turismo far tornare?” E perché non associarvi (e far precedere) anche la questione “Come conquistare nuovi abitanti?”
Ci sono tante Venezie, tante quante sono i modi in cui decidi di viverci, ci sono tante visioni di Venezia, tutte sicuramente parziali. La Venezia in cui la libreria ha preso dimora, è fatta di persone che la abitano, e si badi bene, che la abitano per una vita (abitanti), per qualche anno (studenti e professionisti), per qualche giorno (viaggiatori); è fatta di persone che leggono e che considerano le librerie posti indispensabili per la vita e la salute di una città. E poi, abbiamo scoperto, ci sono anche gli abitanti virtuali, quelli che vengono in libreria da remoto.
Spesso veniamo interpellati in termini di (fare) cultura e produzione culturale, sapendo che per noi la possibilità di farlo è sinonimo di vivibilità di un posto. Adesso che lo spazio e lo stop lo consentono, si tratta anche di questo, abbiamo tra le mani, sotto i piedi e negli occhi la città forse più vivibile al mondo, chi non vorrebbe venirci a vivere. È sull’accessibilità che bisogna lavorare e ora che vediamo la parola scritta nero su bianco, accessibilità è proprio una delle chiavi del nostro fare libreria. Così come ci sono state le condizioni per aprire, mantenere e mantenersi con una libreria a Venezia, in termini di spazi accoglienti, affitti accessibili e utenza raggiungibile, devono esserci, e se non ci sono dobbiamo costruirle insieme, le condizioni per abitare Venezia. Fermi e vibranti, come i gechi (abitanti pure loro) del Cuore non si vede di Chiara Valerio.