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In villa

Un racconto della serie di ZERO 'Propagine. Storie del contagio'

Scritto da Piergiorgio Caserini il 23 febbraio 2020
Aggiornato il 27 marzo 2020

Un po’ più di cremina, ecco. Simona c’aveva proprio le mani lisce come le pesche. Così non ti scotti beibi.
Oreste si sistema il Carrera Facer nero dorato. Un raggio di sole zompa sulla montatura sottile e il ragazzo nella Jacuzzi sul pianerottolo si dipinge per un istante d’oro massiccio. Con quegli addominali bagnati e schiumosi, con quel colore divino, Cristo, che abbronzatura, una meraviglia del mondo, la statua crisoelefantina di Zeus, ecco.
E lui? Un novello Re Mida, lui, a far d’oro i caldi febbrai del 2020. Ma d’un oro morbido come la pelle di alcune donne, che hanno seni con quell’aureola grande e perfetta che forse solo le orbite dei pianeti, o magari i buchi neri, che sono i buchi del culo dello spazio, quelli in cui scompaiono le cose e non ne escono più, e si potrebbero fare tutta una serie di paragoni tra l’apparato rettale e la teoria delle stringhe piuttosto che fare gli educati e parlare di idraulica, insomma, quei capezzoli d’oro non gli uscivano dalla testa da quando aveva passato la notte con Ilenia.
Un fremito al pensiero di lei nella casa accanto, una scossa elettrica che si propaga subito dal ricordo fresco al cervello, l’ottunde, riporta a galla l’alcol della serata di ieri, e parte.
Avvicina la testa a Simona e tira un bel leccone al seno. LLLÀ!, dice.
Lei gli sgancia uno schiaffo tanto forte che per un attimo si sente riportato indietro nel tempo, un flashback epilettico, sacro, un tunnel spaziotemporale che tra un fischio e un lampo bianco come la bamba porta diretto all’immagine della nonna: fiera figura matriarcale e contadina, regina di tutte le cascine e domatrice di cinghiali, che di schiaffi ne tirava, ma mica così forti. Forse perché era piccolo, pensa tra sé e sé.
Ma i Carrera Facer no. A terra no. Non si fa. Cazzo fai?, chiede infatti. E intanto si dice che non sono mica così morbide all’impatto quelle manine lì.
Come cazzo ti permetti. E via un altro ceffone, ma Oreste che è addestrato lo schiva, e con un ghigno furbetto prende e se ne va in salotto, via dal pianerottolo, via dal sole e da quel tipo nella Jacuzzi, via da Simona che conosce a malapena.
Vorrebbe parlare con Matt, ma quello se ne sta in stanza da circa trenta ore, in diarrea. Lo chiama e non risponde, forse è meglio così.
Appena accende il telefono e va dritto su Fb, ecco comparire subito l’indistinguibile Barbarona che chiacchera in diretta con il Presidente in veste di casalinga, dice.

Scusami ma ti do del tu, Presidente.

Recita la faccia scultorea che smuove a fatica le palpebre.
Questo strano aplomb ha sempre posto tutta una serie di domande a Oreste, unitamente a quei gesti quasi meccanici da teatro Kabuki che lui ricorda nitidamente in svariate serate tra amici.
Memorie rigide, insomma.
Sorride, pensa a Ilenia, e poi eccola, eccola lì: la faccia da panico. Uguale a quella di tutti gli altri giorni. Sarà il Kabuki, dice tra sé e sé. E subito attacca la lista turpe della sclerosi sociale, i supermercati svuotati, le risse, l’assalto alle farmacie, l’amuchina, l’isteria eccetera finché non succede, e dice: Pare di essere in guerra eh!
Passano lenti quei due secondi in cui la faccia del Presidente rimane arroccata sulla canonica espressione istituzionale, interdetto.
Cede? Cede agli stilemi della comunicazione, alle tattiche del governo dell’opinione? Lo fa?
Eccolo: in un microsecondo d’umana ingenuità si sfalda tutto il volto del Presidente, accompagnato da un AH…, che incrina gli angoli della bocca in quei sorrisi smorzati che sono simpatici compatimenti e bestemmie trattenute.

Sì, però dai Presidente dicci la verità.

E intanto che quello ci prova, a tranquillizzare, scaricando venti d’ottimismo e di responsabilità istituzionale, la redazione piazza in mezzo a lei e a lui una bella carrellata di scaffali vuoti.
Tiè, dì quel cazzo che vuoi ma il programma è mio, il pubblico è mio, e l’arena la vinco io, scusami se mi permetto eh.
Bella la Barbarona, pensa Oreste, e riprende a scrollare indugiando su un post appena sotto: sostiene che la Nasa sostiene che quello sia l’unico giorno in cui le scope stanno dritte, in piedi, e ci vorranno tremilacinquecento anni prima che di nuovo torni quel magico momento catartico della rettitudine del più famoso degli attrezzi domestici.
Se qualcuno rimane.
Che poi se anche i cani cagano allineati con il campo magnetico della Terra tutti i giorni, cosa ci sarà di strano in una scopa che sta in piedi, pensa Oreste.
E tutti a postare foto di scope in piedi.
La posta anche lui.
Doveva provare.
Carrera Facer in bella vista, D’ordine, Zio, dice guardando il tipo della Jacuzzi.
Chissà chi cazzo è, quello.
Simona intanto si spalma l’olio abbronzante.
Oreste va all’uscio della porta finestra, sul terrazzo degli sfigati, quello dove non c’è nessuno perché manca la piscina.
Ci stanno ancora le bottiglie di Keglevich e del Gordon’s in secca da due giorni, le mosche ubriache danzano driblando l’hangover di questa mattina e tuonano in testa tipo il Baffo quando vende i fornelli e le cucine, sbraitando alle etichette terrorizzate che sbiancano in qualche minuto.
Che fissa, che fissa, mormora Oreste quando ancora la Barbarona gli torna in mente.
Sfodera di nuovo il telefono, Netflix, e lancia Pandemia Globale, giusto per stare tranquilli.
Sono due giorni che è bloccato alla casa delle feste in campagna.
Sono due giorni che sta in hangover permanente.
Un’altra forma di quarantena, si dice tra sé e sé, dove il sole e il vociare batacchiano la testa e lo spirito.
In quella casa c’erano Simona, Matt e al crisoelefantino nella Jacuzzi, che ancora non si era presentato. Marciva gli addominali divini nell’acqua di bolle.
Sti cazzi la salute.
Gli altri erano nelle case lì vicino.
Proprio di fianco al balcone, un rider di Glovo picchietta sulla finestra di Matt.
Un guanto in lattice giallo esce e prende il sacchetto di carta, mentre l’odore di pollo impregna l’aria intorno. Intravede una mascherina a coprirgli il volto che forse è un assorbente con lo spago.
Ciao Oreste.
L’Ilenia dai dolci capezzoli era alla finestra della villetta di fianco, gli sorride, anche lei con la mascherina.
Matt fa ciao ciao con la manina gialla e starnutisce in quella pseudo mascherina sbattendo la testa contro le barre della finestra.
Che schifo la realtà, dice Oreste, meglio la Barbarona, Bella lei.