É sempre affascinante osservare le persone che atterrano negli aeroporti, carpire le loro emozioni, intercettarne ogni singolo sguardo. Gli arrivi a Malpensa rappresentano un crocevia di sensazioni contrastanti tra chi torna, chi arriva e chi era scappato ma è dovuto tornare sui suoi passi. Ogni centimetro della sua area trasuda gioia, dolore, speranza.
Eppure non tutti gli attori che gravitano al suo interno hanno una storia da raccontare. É il caso di Giorgio, ventidue anni. Aveva semplicemente caldo, è partito per un weekend da solo direzione Edimburgo. Nessun racconto epico di conquiste o di grandi bevute. Solo un po’ di fresco, guadagnato, è il caso di dirlo, col sudore della fronte oltremanica. Ginevra invece vive a New York ma torna spesso a Milano. Ama la Grande Mela alla follia, ma i suoi costi proibitivi la costringono a tornare a casa con maggior frequenza degli scioperi ATM, per ossigenarsi tasche e spirito e prendersi un break dalla sua vita di fuorisede extra-lusso. Ogni tanto le manca l’Italia e combatte la nostalgia a suon di pizza. Quella di Vinnie’s a Brooklyn, che non sarà milanese ok: ma, dice lei, resta comunque “ultra-top”.
Marco invece è appena arrivato da Roma. Preferisce l’aereo al treno perché “tre ore seduto dentro ‘n posto manco all’Olimpico ar derby”. É arrivato per restare, o almeno per provarci. Teme la nebbia, anche se suo cugino che vive qui da due anni gli ha pazientemente spiegato che ormai non esiste più, che è una mezza leggenda metropolitana, quasi come la fontana davanti al Castello Sforzesco, quella sparita negli anni 50 per far posto alla fermata Cairoli, e secondo alcuni trasferita nei giardini della villa di Craxi ad Hammamet.
Sì perché, dopo anni di sterili campanilismi, atterrare oggi a Malpensa regala gioie trasversalmente riconosciute da tutto lo stivale. In fin dei conti lo sanno tutti che la cosa più bella d’Italia è l’aereo per Milano.