Il calcio rappresenta spesso un motivo di riscatto sociale, di salvezza, di rivincita personale. Giocare a pallone è stata la fortuna di tanti campioni che sono riusciti a emanciparsi dalla povertà, dall’emarginazione, dal razzismo e, in alcuni casi, dalla violenza. Il calcio ha cambiato la vita ad alcuni dei giocatori più amati degli ultimi anni ma sono ancora più numerosi i casi di tutti coloro per cui giocare a calcio non è stato sufficiente per abbandonare le proprie radici, per colpa della mancanza di strutture e organizzazioni in grado di educare e proteggere, insegnare il rispetto per l’avversario e l’amore per lo sport, concedere un’alternativa relazionale.
No League è nata a Milano nel 2010 con l’obiettivo di diventare un centro di aggregazione e un punto di riferimento per trasmettere una buona pratica educativa e sportiva, capace di rivolgersi ai ragazzi dagli 8 ai 21 anni che si trovano in condizioni di difficoltà, come rifugiati, immigrati e ragazzi italiani svantaggiati, per aiutarli e integrarli nella società locale attraverso la partecipazione sportiva. Alla base dell’idea, ci ha raccontato David Vezzoni tra i fondatori del progetto, c’è la convinzione che «Lo sport è tanto, troppo importante per la vita sociale di ciascuno, è un codice universale che mette in relazione adulti e giovani con la sfida di giocare insieme, e poi di far nascere relazioni educative e progettuali».
Con questi presupposti, nel corso degli anni la rete si è sempre più allargata, arrivando ad avere un luogo di riferimento in ogni quartiere milanese, tra cui i Cag, centri di aggregazione giovanili di Milano e la Uisp e ampliando la proposta con campionati di pallavolo femminile, eventi periodici di formazione sugli sport dedicati a educatori e atleti, assieme alla possibilità offerta ai ragazzi di incontrare alcuni degli idoli della Milano calcistica degli ultimi anni, come Mauro Icardi e Marco Materazzi.
Il 2021 è stato un anno particolare per tutti. La pandemia ha costretto gli adolescenti a rinunciare alla vita sociale, e il lockdown forzato non è stato certamente un incentivo per l’attività fisica e sportiva. A supporto della campagna Play New, e con l’obiettivo di riappropriarsi dei valori dello sport, a partire dalla forza del riscatto e della resilienza, da quattro anni Nike continua la sua collaborazione con No League. Nuovi staff, nuovi allenatori a sostegno di due nuove attività nei mesi di giugno e luglio: i No League Games, soprannominati “Europei di quartiere”, e i No League Summer Camps, entrambi organizzati al Centro Sportivo Cameroni di via Bechi 2, nel quartiere popolare di Gorla.
I No League Games sono un ciclo di appuntamenti che coinvolgono 500 ragazzi e ragazze tra gli 11 e i 21 anni, provenienti dai quartieri milanesi più difficili, e che riguardano diverse discipline, dal calcio alla pallavolo. L’attività viene suddivisa in due fasi: la prima è dedicata allo sport, mentre la seconda ad altre iniziative dedicate all’aggregazione. I No League Summer Camps, invece, sono dei veri e propri campus estivi, dedicati al calcio, al volley, al rugby, alle arti marziali e anche ai giochi da tavolo, e hanno visto la partecipazione di oltre 300 ragazzi e ragazze milanesi tra gli 8 e i 16 anni. Il contributo dato a No League da un partner come Nike è determinante, supportando la parte di scouting dei coach del progetto e aiutando a trovare le risorse per lo staff e i prodotti per tutti i partecipanti.
La scommessa di David Vezzoni è stata confermata con l’entusiasmo e i numeri dei partecipanti, ragazzi che «sono tornati subito sul campo perché avevano voglia di scrollarsi di dosso la polvere della pandemia. Avevamo paura che la risposta non ci sarebbe stata, e invece anche questa volta ha vinto la straordinarietà della normalità». Una normalità resa possibile dalla forza aggregativa ineguagliabile dello sport. Sognando, un giorno, di raggiungere traguardi che sembravano impossibili.