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La Discoteca di Jacopo Miliani

Destrutturare la realtà per restituire la realtà.

Scritto da Annika Pettini il 6 ottobre 2021

Jacopo Miliani, La discoteca, film still, 2021

“Questo film è stato come creare un’altra realtà in un momento in cui la realtà si stava sgretolando.”

Tirare le fila di una storia può essere complicato, quindi partirò da un concetto che mi è stato regalato una mattina. Ci sono cose che hanno bisogno della loro natura complessa per esistere, non possono essere semplificate: i livelli che le compongono ne sono la forma e la sostanza. Quindi racconterò tutto.

L’artista di questa storia è Jacopo Miliani, toscano di origini ma adottato da Milano da diverso tempo. La ricerca di Jacopo ha la stessa struttura dei suoi lavori: ampia, fluida e inclusiva. Linguaggi diversi che si incontrano in un calderone di colori, corpi e forme. Dietro al lato formale, c’è una grande capacità di fare ricerca, di creare e ampliare un archivio di saperi e curiosità, che si incanalano nel suo lavoro. Performance, video, fotografie e sculture, sono solo alcuni dei media che utilizza. Cura mostre, collabora con istituzioni italiane e straniere ed è instancabile.
La sua ultima impresa, La Discoteca, è un lavoro che include la massima espressione di ogni linguaggio: si tratta di un film. Un vero e proprio mondo in cui le dinamiche relazionali cambiano, ogni lessico è alterato e l’interazione compromessa. Il progetto, curato da Elisa Del Prete e Silvia Litardi di NOS Visual Arts Production, nasce dalla trasposizione di una visione dell’artista, in un periodo antecedente alla realtà che conosciamo oggi, ma che portava già dentro di sé i germogli dell’alterazione dei linguaggi relazionali e del corpo.
Il percorso che ha portato al film è un esploso che è partito dalla scrittura per poi separarsi, evolversi e tornare insieme, fedele a se stesso ma diverso. Un mondo completo che ha avuto bisogno di essere compreso, sezionato e portato fuori. Un processo di formalizzazione comunitario, durante il quale sono intervenute tante figure diverse. 

“È come cercare di ricostruire il reale e questo prevede il fatto che devi riuscire a immaginare cos’è la realtà. E lì mi sono aperto verso l’onirico.”

In questo linguaggio corale una delle prime figure a entrare in campo accanto a Jacopo è stata Gaia Formenti, che ha collaborato alla stesura della sceneggiatura. Dopo di che è stato il turno dei vari tecnicismi: il set, le giornate e le tempistiche, le inquadrature,… E ciascuno di essi è un modo di scrivere a sé. Ogni cosa che entra nell’inquadratura a livello semantico è scrittura: la scelta degli abiti, il trucco, le coreografie. Tutto si compone sulla base della sceneggiatura scritta e tutto deve tornare lì. E una volta girato, si ricomincia da capo. Perché arriva la fase di montaggio, poi il suono, le immagini e la post produzione, con l’enorme quantità di dinamiche che si portano dietro e che si imparano solo lavorandoci. Un gioco fatto di step complessi che mantengono la loro complessità in ogni fase.

Spesso gli artisti visivi lavorano soli o con collaborazioni ristrette, mentre un progetto come La Discoteca è esso stesso un piccolo universo che include tante professionalità e questo, sicuramente, comporta una sfida di ascolto e traduzione.
A partire dagli attori, che sono il vento che influenza l’essenza dei personaggi, in questo caso: Eugenia Delbue, Pietro Turano, Eva Robin’s, insieme a Anna Amadori, Charlie Bianchetti, Kenjii Benjii e Alex Paniz.
Ma anche tutti coloro che non compaiono in scena come Sara Scanderbech, fotografa che ha collaborato fin dall’inizio – “perché la prima foto del film, quando ancora il film non c’era, l’ha scattata lei”. E che ha seguito gli incredibili giorni dentro e fuori dal set, per documentare quella parte della storia. Poi Annamaria Ajmone che ha lavorato sulla coreografia, Alessandra Mancini ha curato la grafica e la locandina – con un’illustrazione apposta e non un’immagine del film. E i nuovi incontri come Thomas Costantin che ha realizzato la colonna sonora del film, rivelando una grande professionalità.

Oltre a diverse realtà creative legate al made in Italy che hanno sposato il progetto anche a livello di moda come Ilariusss, Nervi, PERUFFO Jewelry e Marsèll.
A Milano La Discoteca è arrivata attraverso il Mix Festival, grazie a un discorso corale che parte dal supporto dell’Italian Council e del Centro Pecci di Prato, che ha accolto la prima proiezione e che custodisce l’opera neon Babilonia, nata proprio in occasione del film (e presente al suo interno). In questa coralità si inserisce anche il Gender Bender di Bologna, festival organizzato da Cassero LGBTI+ Center e grande punto di riferimento per la comunità.
Per me, vedendolo, ha avuto la durata e le fattezze di un sogno, un pò sfuma, un pò resta. La storia è sospesa e lontana, racconta qualcosa che conosciamo a fondo, solo leggermente sfalsato, senza riuscire a individuare dove. È affascinante come la realtà non sa essere – i colori restano, insieme al profumo di fiori, di rose, e di sigaretta.