In occasione del VIVA Festival, il festival tra pop e avanguardia che si disperde tra i mari limpidi e i muretti a secco della Valle d’Itria, Audi e Zero hanno deciso di spostarci in Puglia. Non tanto per i toni vacanzieri e soleggiati, ma perché sappiamo bene che per pensare in grande occorre innanzitutto saper pensare in piccolo. È una questione di scale. Bisogna conoscere il proprio territorio, i propri vicini, per reimmaginare un’idea di collettività, realizzando che l’innovazione è sempre un brulichio sociale, un vocìo che collima in qualche cosa e rinvigorisce tutti.
«La formula progettuale appartiene alla terra in quanto stratificazione di diverse competenze e popolazioni.»
I fondatori lavorano ai confini delle categorizzazioni, tra design, architettura, arte e moda. Le collezioni sono di piatti e sculture, tavoli e obelischi, tutte con un’attenzione al grafismo iconico e all’uso di materiali locali assieme a un “made in Salento” che valorizza le capacità dell’artigianato locale, a partire proprio da quella «forma molto specifica di “strabismo culturale”. Qui la formula progettuale appartiene alla terra in quanto stratificazione di diverse competenze e popolazioni. Un territorio che si trova al limite geografico e culturale, per i modi di intendere il quotidiano dell’architettura e del design».
In sostanza, Kiasmo fa della pratica progettuale il luogo in cui ogni prodotto rimane, a livello di ricerca, sostanzialmente indistinto, nel senso che si spezza quel circolo vizioso di specializzazione che vede il designer lontano dall’architetto, per esempio. Per Vincenzo e Francesco la pratica progettuale deve riconoscersi come processo creativo a tutti gli effetti, realizzando l’importanza di un radicamento al territorio, alle sue maestranze e ai suoi materiali.
Una radice salentina che s’apre al globo, il sapore del nomadismo della mediterraneità.
Insomma, qui si ha ben presente che l’identità di un’azienda, oggi, deve costruire un legame indissolubile con il proprio territorio. Quando abbiamo parlato con Vincenzo, ci ha detto che tra le suggestioni progettuali vi è di certo una spinta moderna, tanto quanto la volontà di investigare la multidisciplinarietà. Cosa succede quando un progettista non si limita a declinare il proprio lavoro come architetto, designer, artista o stilista, ma si pone nell’interstizio tra tutte? È qui che forse si ritrova quell’ambizione tutta moderna di una progettualità estesa, creativa, che connotava il design delle origini, quello di Morris e delle Arts and Craft: un parallelismo tra arte e artigianato, per cui progettista e produttore non sono figure distinte.
Piuttosto, è il progetto a raccogliere l’insieme della produzione all’interno di una visione che si vuole impegnata nel rintracciare tanto un radicamento nel territorio salentino quanto un’identità nella pratica del fare, meglio: nelle intersezioni che si danno solo sperimentando i materiali e le loro forme. D’altronde, come ci ha raccontato Vincenzo, «Kiasmo significa “intreccio” in greco. È fondamentale tenere l’attività ancorata a questo territorio, che dal punto di vista geografico è straordinario, la cui cultura appartiene tanto all’Europa quanto al Medioriente, al mediterraneo. Mai come oggi questo incrocio, intreccio di culture sia fondamentale».
Di nuovo, si inverte e riconosce una tendenza tutta contemporanea, e non poi tanto moderna: quella della valorizzazione del territorio e del complesso di suggestioni offerte tanto dalle sue culture e dalle sue storie, quando dalle specificità artigianali e formali che a esso si legano. In questo, Kiasmo, mantiene una radice tutta salentina pur aprendosi al mondo, con tutto il sapore di una mediterraneità che da sempre si è contraddistinta per il suo nomadismo.