Sono sul treno, appollaiata docile e stanca, e un’amica mi invia un vocale in cui mi spiega entusiasta come l’agopuntura abbia cancellato magicamente tutti i suoi dolori muscolari, le tensioni, le infiammazioni. Le rispondo che proprio in quel momento, non appena sbarcata a Milano, mi dirigerò verso un centro di agopuntura, un moloch segreto in una strada secondaria la cui porta è una specie di ovale gigante, sovrastato da un enorme occhio serigrafato che ti fissa mentre tu povero ignaro dolente cerchi nelle medicine alternative un sollievo ai tuoi dolori posturali.
Nel tragitto mi informo, leggo, mi documento per comprendere come l’inserzione di questi lunghi aghi sottili possa procurare sollievo e non dolore, spasmodico dolore. Dal mio matto studio disperatissimo, parziale e manchevole, apprendo che secondo la medicina tradizionale cinese, stimolando questi punti si possono correggere gli squilibri nel flusso del qi attraverso canali conosciuti come “meridiani”. L’idea che il corpo venga letto e interpretato come una mappa, come una cartina della Liguria su cui appuntare i punti strategici in cui mangiare la focaccia tra Bonassola e Sori, comunque mi solletica. Il nostro approccio medicinale orale del buttaggiùquesto spesso tende a opacizzare, a omettere e dimenticare il fatto poco trascurabile che siamo dentro ad un corpo. Ma dopotutto siamo figli di S. Agostino.
L’idea di essere perquisiti da un rabdomante in cerca d’acqua con spilli lunghi come le unghie di Elenoire Ferruzzi.
Da occidentalotti questo scollamento corpo-malattia è comune come il caffè al mattino. Qua usiamo le pasticche, ricordandoci quell’attitudine droghereccia da panacea al dolore. C’è una diceria che racconta come Nixon, durante il viaggio in Cina nel ’71, rimase esterrefatto quando a un giornalista dell’equipe, James Reston, venne operato per appendicite. Senza anestetico. Senza pasticche. Solo con aghi infilati qua e là per controllare il dolore. Da lì, l’agopuntura sbarca negli Stati Uniti, dando probabilmente adito a tutta una wave new age orientaleggiante, che poi sostanzialmente fraintende il beneficio dell’ago pensandolo soltanto come terapia del dolore. Diciamo poi che, come oggi, se si va da un agopunturista è tutto merito di un passaparola. Un po’ perché è difficile trovare giusto terapeuta, un po’ perché è difficile fidarsi di un ago nel cranio, un po’ perché la diffusione negli USA comincia per il passaparola di Nixon ed è simpatico ricordarselo.
Io tremo all’idea che qualcuno mi perquisisca come un rabdomante in cerca d’acqua con spilli lunghi come le unghie di Elenoire Ferruzzi, ma continuo a interessarmi alla questione, animata da quelle immagini iconiche di spuntoni, coppette, orpelli da inserire in tasche di pelle umana. Secondo le teorie degli agopunturisti, esisterebbero dodici canali principali, detti meridiani, che si estendono verticalmente, bilateralmente e simmetricamente; ogni canale corrisponderebbe e si connetterebbe internamente ad ognuno dei dodici zang fu (“organi”). Significa che vi sarebbero sei canali yin e sei yang; vi sono tre canali yin e tre yang che corrono su ciascun braccio, tre yin e tre yang su ciascuna gamba: tre canali cominciano dal petto e viaggiano lungo il braccio verso la mano (e qui mi immagino un gran bel tatuaggio a dir la verità), tre canali cominciano dal petto e viaggiano lungo il braccio verso la testa (tatuaggio un po’ meno bello ma de gustibus) e tre canali cominciano dal volto, nella regione dell’occhio e discendono lungo il corpo lungo la gamba, verso il piede.
Se penso ai flussi di sangue che scorrono al mio interno, direi che ha senso: e alla fine di questo son fatta, vuoi che manipolare il mio interno non mi dia beneficio? Questa tesi mi ha quasi convinta. Poi ripenso al mio corpo steso immobile e indifeso. Lì, in balia degli agoni. Potrei gettarmi sulle coppette allora, mi dico. Non pungono, risucchiano. Risucchiano?
Sembrano pannettoncini di vetro ma non è una pubblicità dell’expertise di Burano.
Le vedi in tutte le foto affisse in giro per il quartiere, accozzate come pomodori di mare su donne supine. Sembrano pannettoncini di vetro ma non è una pubblicità dell’expertise di Burano. Allora informandomi su queste coppette che vedo ritratte in tutto il quartiere, scopro la tecnica della coppettazione.
A dire d’altri, sempre nel mio studio matto disperatissimo ecc. ecc., la coppettazione è un’altra pratica terapeutica che opera per suzione. Succhia, succhia alcune parti del corpo umano. Tendenzialmente schiene. Come le sanguisughe. E le coppette sono vasetti speciali che ti mettono sottovuoto la pelle. È un’altra panacea: emicrania, sciatica, mal di schiena, ansia, depressione, malattie respiratorie. Esistono poi diversi tipi di coppettazione: la coppettazione secca, la coppettazione bagnata e la coppettazione mobile. 3000 anni di storia applicata, e qualche dubbio sua efficacia.
In ogni caso, nella mia testa risuona soltanto COPPETTAZIONE SECCA BAGNATA E MOBILE. Come succede? Arriva l’addetto coppettazione e ti chiede “scusi ma la gradisce secca bagnata o mobile?” come se fosse una grappa?
E qui vado nel pallone. Perdutamente. Quali sono le opzioni che mi restano? Le opzioni per arrivare al mio obiettivo, obiettivo B E N E S S E R E? Potrei innaffiare di grappa i miei tessuti connettivi e quelli molli ma la suzione con un vasetto di vetro, mi inquieta profondamente. Ah, come mi muovo istupidita nel mondo. Eppure i suoi sostenitori mi garantiscono che la pratica mi aiuterebbe in tutto, perfino con l’ansia, col mal di testa, con le vene varicose, coi soldi, con la cessione del quinto, col bollo dell’auto. E dire che in quanto a pratiche paramediche casalinghe, nessuno mi toglierà mai il ricordo di mia madre che mi infila coni di cartoncino nell’orecchio per sentirci meglio (esistono ancora?) E per non parlare dei rimedi fai da te col prezzemolo. Eppure, la coppetta secca e l’ago infilzato mi destabilizzano, forse un massaggio? Ripiegare su quella tecnica di rilassamento solitamente praticata in stanzette buie a porte chiuse?
Inizio a passeggiare ossessivamente davanti al Moloch occhiuto, con le immagini vivide di Elenoire Ferruzzi che mi succhia via l’aria dalla schiena con i panettoncini di vetro bagnati. Me ne torno a casa.