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La XXII Triennale di Paola Antonelli

Come sarà la grande Triennale del 2019, affidata alla curatrice design del MoMA

Scritto da Lucia Tozzi il 13 novembre 2017

Foto di Gianluca Di Ioia

Facendo sfoggio di una brutalità comunicativa poco comune nel giro ovattato del design, e molto apprezzata da certo pubblico, il sindaco Sala ha dichiarato in conferenza stampa che la scorsa Triennale, quella inaugurata in concomitanza alla sua EXPO nel 2015, era senza mezzi termini scarsa. E che questa volta invece si è pensato in grande, chiamando un’unica curatrice, la donna più potente del design mondiale, la curatrice al MoMA da molti lustri Paola Antonelli. Come dargli torto, in effetti? un colpo da novanta per Milano, un taglio netto alle beghe locali: l’autorevolezza della Antonelli e di una partnership con il MoMA è indiscussa.
Paola-antonelli-triennale-milano
I capelli raccolti, e un italiano anglofono di cui ha chiesto pubblicamente venia, Antonelli si è lanciata in una scenografica corrida di presentazione della sua Triennale, ovviamente ancora tutta fatta di intenzioni e suggestioniperché, al contrario della XXI, l’annuncio è stato fatto a quasi un anno e mezzo dalla data di inizio, il 1 marzo 2019. Il titolo è Broken Nature: Design Takes on Human Survival, non tradotto per iscritto ma oralmente reso come Natura Torta – o torturata. La prima slide era una domanda sulla foto del COP23 a Bonn sul Climate Change: perché il design è assente dal summit?
Ecco, lo spirito della Triennale sarà questo: il design riguarda le grandi questioni dell’umanità, come il LAVORO, le MIGRAZIONI ovviamente, e le DINAMICHE SOCIALI. Ed è, o dovrebbe e potrebbe essere rilevante per loro. Non si parla di natura in senso idillico, né di ecologia old style. Qui si ricercano quei modi di progettare che mettono l’uomo nelle condizioni di confrontarsi, in primo luogo, con il disastro che il capitalismo ha provocato alla natura e all’umanità stessa, e poi di pensare come sopravvivere alla ormai realistica Sesta Estinzione (la nostra) e agli sconvolgimenti ambientali, di classe e di censo che ci aspettano.
Le questioni più calde riguardano perciò la rappresentazione oltre che le soluzioni, come nelle cartografie dinamiche delle migrazioni elaborate da Diller&Scofidio con Virilio (EXIT, Fondation Cartier, 2015).

Di sicuro la persona più citata è stata Neri Oxman, con i suoi diagrammi, il silk pavillion e le sue maschere mortuarie

Neri Oxman, Vespers
Neri Oxman, Vespers
Un campo di indagine importantissimo è quello della progettazione per la sopravvivenza in condizioni estreme, come in Antartide o nello smog megalopolitano, dall’India alla Pianura Padana.
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Fondamentale sarà l’indagine di nuovi materiali, ma anche di quelli antichi, tornati in voga anche grazie alle esplorazioni di Formafantasma o Philippe Rahm: a dimostrazione del fatto che l’etica, ci tiene a ribadire Paola Antonelli, non è un concetto contrapposto a quello di estetica.
Le sperimentazioni richiedono nuovi partner, dalle api ai microbi ai robot, e il biodesign si spinge ben oltre il mondo della conservazione, della riduzione del danno: come Alexandra Daisy Ginsberg, impegnata a progettare una biodiversità sintetica per fare fronte alla sesta estinzione. Oggi si creano già organi nuovi, non solo copie di quelli esistenti, ma migliori. E protesi ortopediche talmente performanti da diventare desiderabili non solo per chi ha perso un arto, ma anche per chi ne possiede di basici: banali braccia, mani e gambe potrebbero essere sostituite a breve da pezzi nuovi, molto migliori (per non parlare naturalmente di altri pezzi estrusi).

Neill Harbisson
Neill Harbisson
Molto più avanti delle serie tv, coppie cyborg come Neil Harbisson e Moon Ribas si fanno impiantare chip nel gomito o nel cervello per percepire i terremoti o risolvere il daltonismo, mentre Dunne & Raby disegnano stomaci esterni per digerire radici coriacee.
Alexandra Daisy Ginsberg, Designing for the Sixth Extinction
Alexandra Daisy Ginsberg, Designing for the Sixth Extinction
Abituati come siamo a concepire l’ossessione digitale come un danno sociale, potremmo ribaltare la prospettiva e predicarlo come un autoesilio volontario per minimizzare l’impatto umano sulla terra, a mo’ di stiliti. Ma soprattutto, conclude la futura direttrice, è assolutamente necessario tornare alla visione a lungo termine: le questioni sul piatto non sono affrontabili col fiato corto imposto dal ritmo frenetico delle elezioni e degli eventi, dei social media e delle oscillazioni di borsa. Torna in auge la pianificazione.

Gli hashtag sono #brokennature e #latriennale: avete un anno per proporre idee.