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L’ipocondria in transito permanente

Un racconto della serie di ZERO 'Propagine. Storie del contagio'

Scritto da Piergiorgio Caserini il 26 febbraio 2020
Aggiornato il 30 marzo 2020

Illustrazione di Roberto Alfano

Ciao amore, ti scrivo per dirti di non preoccuparti. Tanto qua ho tutto quello che mi serve. Per ora, almeno. Intanto uno spazio per dormire, che è importante. Poi ho il riscaldamento, che a volte pare lo scirocco. Tanto caldo e pervasivo che mi toglie il respiro e mi ritrovo tutto impregnato di sudore. Tanto che sento la camicia scricchiolare, la camicia salina, rigida come l’ansia. Quando è così mi prendono dei lievi tremiti e penso di avere la febbre, ma forse è solo terrore. Me lo dico in continuazione, è solo terrore, ansia e terrore, una pillola ingerita dopo tante altre.

Dopodiché comincio a chiedermi quali siano i problemi respiratori, cerco i dettagli per scovare i sintomi nascosti, il sintomatico segreto, la segretezza virulenta, ma mai che qualcuno lo spieghi con chiarezza.

Mai. Mai googlare i sintomi, me l’hai sempre detto. Ma lo ricordo sempre tardi.

Ecco, quando mi sento così, rigido e sudato, apro tutto e lascio circolare un po’ d’aria fresca, soprattutto quando esce il sole. Poi sì che respiro bene. Eiettando lo scirocco nello spiraglio di cielo, almeno una volta all’ora. Sta meglio fuori che dentro, mi dico.

Questo rituale cadenzato serve anche a tenere a bada quella brutta bestia della claustrofobia. Un po’ di arietta, un respirone, cinque minuti al massimo.

Devo confessarti poi che ogni tanto esco per sgranchirmi le gambe, faccio una corsetta veloce qua intorno fino a quando mi si tendono tutti i muscoli, fino a quando le ossa scricchiolano per l’inerzia prolungata. Sì, come la camicia dirai tu, ma è perché sono costretto a fare tutto senza stretching. Richiede tempo all’aperto, dentro lo spazio è poco. Meglio evitare.

Insomma, dieci minuti di corsetta rapida. Poi rientro, chiudo in fretta e mi attacco all’amuchina. Che bella quella sensazione di asettico che subito abbraccia le mani. Vellutata, distante, impropria come l’odore degli ospedali o dei sacchetti di plastica.

A proposito, sentendo come stanno andando le cose in giro, ti chiedo di mandarmene un pacco. Quelle che puoi, quelle che hai. Io sono riuscito giusto a prenderne in volata sei confezioni, le ultime. Ma non so se basteranno. In coda ti metto l’indirizzo a cui spedirle.

Credo poi di star guardando troppa roba online. Ho visto che vi hanno messo in quarantena, spero davvero che i tuoi giorni continuino con la solita noia, che a dir la verità mi manca. Anche tu mi manchi tesoro, anche il gatto. Dicono che con gli animali domestici non c’è pericolo, sebbene abbia letto che sta cosa arrivi dai pipistrelli in zuppa. O da rettili, o da altro. Anche questo non si capisce.

Quindi niente selvaggina amore. Lo so che il ragù di cinghiale ti prende la gola, ma per favore non fare cose azzardate. Niente cazzate. E occhio alle nutrie infami. Per sicurezza, se vuoi, ricordati che in garage c’è il mio arco con qualche freccia.

Come capirai non so quanto preoccuparmi. Quindi mi preoccupo. Come al solito dirai tu. Già ti immagino con quella faccia contratta dallo sbuffare che per me è sempre e solo un attacco infame e non prevedibile di germi. Lo sai, eppure continui a farlo.

Come quella volta che c’era la mosca nel piatto e tu dicesti che ma va, non è niente, figurati, una moschetta, e io lanciai il piatto di spaghetti fuori dalla finestra e lo spazzai nel tombino della strada con la canna dell’acqua. Lo sai come sono fatto. Una lieve ipocondria è d’ordine. Prevenire è meglio che curare. E gli insetti bastardi sono infidi. Untori per eccellenza, assieme ai topi. Vedi, mosche e zanzare, topi e nutrie. Ce li abbiamo proprio tutti. La provincia umida della pianura cova la pestilenza, chissà da quanti secoli, e tac, eccola qui.

Prendi l’arco, tesoro, confido che tu lo faccia come precauzione assieme al lavarti il più possibile le mani e il viso, almeno una volta ogni due ore. Facciamo una. Mezz’ora e tagliamo la testa al toro.

Attenzione comunque perché poi ci sono gli starnuti.

Quei piccoli starnuti epidemici. Da sempre, mica solo ora. Sai quanti piccoli eserciti stronzi di batteri si eiettano a falangi dalle bocche?

Finalmente tutti li vedono per quello che sono: armi, eserciti. Dissuasione civile. Se mai qualcuno dovesse iniettare un virus nel mondo lo farebbe per starnuto, è chiaro a qualunque ipocondriaco. Muco e saliva a più di 200 km/h, pensa.

Non c’è nemmeno bisogno di militarizzarlo, sai, è già un proiettile da sé, una raffica, un mitragliatore browning infettante. Puoi anche metterti la faccia dentro il gomito, ma lo schianto e la ripetizione sono tali che quei germi bastardi esplodono tutt’intorno come una bomba al fosforo. Tra i due e i cinquemila batteri.

Ricordati che se qualcuno starnutisce tre volte c’ha di sicuro l’irritazione, l’infezione, è certo. Perché il naso carica il batterio come si caricano i fucili a stantuffo, lo smuove da su, lo arma alla punta del naso, e poi lo spara.

Il naso è un’arma di questi tempi, ecco, e per certi versi sono felice che tutti se ne stiano rendendo conto. Se qualcuno starnutisce anche una volta comunque tu non fargli ‘salute’ che lo benedici, fai la figuraccia benevolente del Papa durante la peste.

Tu scappa o tiragli subito una sberla prima che si metta la mano davanti alla faccia.

Mi raccomando tesoro, precauzione.

Chissà poi che se gli impedisci di starnutire non gli esploda il cervello, come si vede nei film. Che strabuzzano gli occhi e implode il cranio. È tutta una questione di pressione sai. Non è improbabile che succeda.

Ma speriamo di no, chissà poi cosa ti prendi. Meglio che scappi, sì, scappa. E stai vicina all’arco.

Immagina a Milano tesoro, immagina dove tutti pippano, che strage. Tu non pippare di questi tempi, mi raccomando.

A proposito di film e di archi, ho visto che i supermercati sono scenari da Walking Dead. Scaffali vuoti, gente in fila, risse per le noccioline. Mi è arrivato un WhatsApp in cui si consigliava di andare a fare scorta, che una volta che si va in quarantena chissà chi ti porta il cibo. Ma poi chissà da dove arriva eh, chissà chi ci ha messo le mani.

Spero tu ti sia ricordata di quando raccontavo a tua madre della guerra fredda, dei bunker, e di come le scatolette sottovuoto o sottolio, fagioli, fagiolini siano perfetti per una sopravvivenza adeguata e una dieta dignitosa.

Io me la cavo alle macchinette per adesso, anche se sinceramente Mars, KitKat e Patatine cominciano a stancarmi.

Ho letto anche che Burioni paragonava il virus all’influenza spagnola di inizio secolo. Mi conosci, sono sobbalzato. Nonostante altri dicessero altro, chi minimizza e chi ingigantisce. Io nel dubbio mi preoccupo e prevengo, lo sai. Ma sarai felice di sapere che per la prima volta in vita mia leggendo spagnola ho pensato istintivamente al gelato.

Ti vedo già a inveirmi addosso con quel solito misto di dolcezza materna intervallata a insulti amari come quelli che rivolgi ai tuoi dipendenti, ma no, al supermercato non ci voglio andare, che i commessi sono tutti senza mascherina. Pensano di farmi stare tranquillo presentandosi a viso scoperto, come i carabinieri, ma se quelli starnutiscono diventa una strage lì dentro.

Se ce la fai, oltre all’amuchina mi farebbe comodo anche qualche salviettina e del sapone. L’acqua la prendo dalle macchinette. Ah, e nel caso anche uno o due rotoli di carta igienica, che qua sto finendo un po’ tutto e vorrei tirare avanti il più possibile.

Oltretutto comincio ad accusare il mal di schiena. Scricchiola, come la camicia salina e le ginocchia indolenzite. Devo dire che il sedile è un po’ scomodo se ci dormi per qualche notte.

Il gpl dura, per fortuna che abbiamo convertito la macchina e avevo il pieno. Oggi ho fatto circa una settantina di chilometri. Finché ce la faccio, ho intenzione di continuare questo viaggio per le colline e i paeselli del piacentino.

Tu pensa se non avessi ascoltato la radio tornando da Parma. L’ansia, il panico. Non so proprio cosa avrei fatto a casa. Dentro il focolaio. Solo a scriverlo mi devo lavare le mani, finendo il penultimo flacone di amuchina.

Pensa. Avrei dovuto chiamare il dottor Anelli e quello già mi odia solo perché sono uno che ci tiene, che si preoccupa. Mi avrebbe detto è stress, bastardo, ma io non ci credo.

Tu mi capisci amore. Qua almeno è tranquillo, non gira un’anima, come sempre. Soprattutto le piazzole di sosta, le isole di traffico. Quelli sono i posti sicuri.

Ma proprio stamattina ho visto passare un vecchio con un cane, lui senza mascherina e l’altro senza museruola. Mannaggia a lui. E se stranutisse? Ho sgasato insultandolo e sono andato via.

Spero comunque di vederti presto, quando tutto finisce, e mi raccomando allerta.

Ah, e manda tutto alla pensilina della SS45 nei pressi di Dolgo, grazie.

Un bacio.

Dolgo, 26 febbraio 2020