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Little Fun Palace: la vera storia di una roulotte

Una scuola nomadica che porta la ricerca al confine ultimo con paesaggio e teatro

Scritto da Annika Pettini il 28 giugno 2024

Little Fun Palace, Nomadic School. Ph. Giacomo Bianco

Eccola. Al Passo delle Erbe in Val Badia, ai piedi dell’imponente Sas de Pütia (una parola, questa, il cui significato è andato perduto e di cui ci resta solo il suono). Lei è piccola ma è capace di arrampicarsi sui pendii più impervi. Lei è Little Fun Palace, il punto zero di questo paesaggio nomadico. È domenica 2 giugno, Festa della Repubblica e si aprono davanti a noi 14 giorni.

Little Fun Palace è il cardine della scuola nomadica fondata da OHT, progetto guidato da Filippo Andreatta e Anna Benazzoli, che si pone sui confini del fare teatro e del pensare come paesaggio.

Little Fun Palace è una adorabile e rotondetta roulotte. Quando me la sono trovata davanti, a quei 2000 metri di nuvole cariche di pioggia, l’ho sentita sorella. Con le gambette corte ma capace di scalare montagne. Incapace di creare aspettative a un primo sguardo ma portatrice e simbolo di un modo diverso di fare le cose. E per “cose” intendo fare ricerca, fare comunità, creare pensiero alternativo. Little Fun Palace infatti è il cardine della scuola nomadica fondata da OHT, progetto guidato da Filippo Andreatta e Anna Benazzoli, che si pone sui confini del fare teatro e del pensare come paesaggio.

Ad arrivare siamo in tredici da tutto il mondo e io mi trovo lì, rannicchiata con loro. Alla base della scuola nomade c’è un gruppo di persone che non si conoscono, che per due settimane decidono di essere comunità, di stare insieme attuando delle pratiche di scambio e condivisione profonde ma mai forzate. C’è il pensiero, c’è il corpo e il sentire e poi ci sono i tutor, ovvero professionistə provenienti dalle discipline e dai territori più diversi per aprire ancora di più gli sguardi e le visioni che intercorrono tra noi e il paesaggio. Intorno ci sono i profili delle montagne, le nuvole del cielo, i fiori le rocce e i prati. Le nostre mani su di essi e i nostri respiri che ne diventano parte. Siamo insieme per sentire di più e immaginare meglio. Di quei giorni vorrei raccontare ogni cosa, ma sarebbe come imbrogliare. Ho imparato troppo e da quella roulotte sono uscite un numero infinito di persone. Quindi ho scelto una storia fatta di pensieri nomadi.

L’inizio di un gruppo ha sempre il peso nei suoi silenzi. Neanche la pioggia li colma. Quindi li lasciamo scorrere, osservandoci di sottecchi. I processi di ingresso sono lenti e a tratti violenti. Cosa si racconta dello stare insieme? Di manifestazioni leggere di disagio. Dello spazio dalla forma sconosciuta, del dare tempo al corpo di abituarsi a quello che si sente. Del bisogno di legittimarsi, di avere un ruolo.
Chissà cosa sappiamo fare. Tutto galleggia prima che questa diventi la nostra quotidianità. Dormire rientra nelle complessità. Come gestire l’ingresso di tutte queste energie e rumori non familiari? Il sonno non conosce quello che stiamo facendo, non capisce la scelta che abbiamo fatto di essere qui e si sente turbato e turbolento. Ogni mattina, fuori da queste pareti che chiamiamo casa, il mondo si sgranchisce, ha un profumo fresco e sta decidendo se essere clemente o no. Le nuvole cercano un posto, se restare o andare. Il paesaggio va e viene mischiato con le sue manifestazioni più sincere. Non fa niente per noi, non è clemente né gentile. Non gli interessiamo mai.

Abbiamo scelto di esserci e di stare: una delle discussioni che abbiamo avuto era proprio sul privilegio di esserci, ma non è reale. Le scelte che ci hanno resi disponibili a questa situazione, il cui cuore ha lo stesso rumore dei massi che rotolano e si schiantano, sono state dure. A modo loro coraggiose, perché raramente conoscono il sollievo. E ce lo dimostra ogni storia che abbiamo la possibilità di ascoltare, che siano quelle dellə nostrə compagnə o dellə nostrə tutor, tutto ha un sapore intenso. C’è chi vola dall’amazzonia per smontare ogni cosa che pensiamo di sapere su quel paesaggio. Non è incontaminato, non è vergine, è figlio di un dialogo sano tra le creature della Terra, essere umano incluso. C’è chi si fida ciecamente del proprio istinto, anche se è barricato dietro una dolce barriera di silenzio e racconta le sue storie con la terra profumata.

Una delle cose che mi impressiona di più è il modo in cui cambia il volto delle persone quando assumono il centro della scena, quando performano e condividono. Mutano e diventano altro da sé, sono il riverbero della loro ricerca e del suono. Può restare un soffio o un fiato, un gesto delle mani che rimbalzano sui corpi. Ci portano a chiederci dove risiedono i suoni nel nostro corpo, perché hanno posti e situazioni in cui esistono. Ci esercitiamo ad aprire il corpo, senza temere quello dell’altro, ad aprire la mente e vibrare. Capire come riportare l’equilibrio, tornare a terra e assestarsi. Capire come sospirare.

Camminando ci mostrano la storia di ogni pietra. Di come il fondo dell’oceano diventa il tetto del mondo. Tutto è ricerca di forma e significato: portare fuori e trovare la voce della montagna.
Si chiede fiducia e accoglienza. Le mani dell’altro su di noi sono veicoli importanti per attivare e sentire, ci chiamano a sussurrarci storie senza sapere come andranno a finire. Delicati e sensibili si entra in ambiti di stress, dove il rigetto può essere spontaneo. Le risate servono per accompagnarci fuori, per fare una pausa. Va bene così.
Ci insegnano a usare i sensi e chiamare le cose secondo il loro odore.
Cucinando impariamo nuovi sapori, duri, aspri, portatori di vita e non sterili. Per riportare il nostro nutrimento all’interno di un ciclo, di processi che sanno che la purificazione è frizzante, acida e dolce. Che il cibo, se fatto con consapevolezza, sazia a lungo. Lasciar sedimentare, lasciar fermentare, lasciare sotto terra per poter radicare.

Ho capito. I volti forse non cambiano quando performano ma cambiano quando iniziamo a conoscerli. Le espressioni esplodono in sfumature. Le nostre sono strade che convergono, che si tangono e poi si dissolvono. Una forma temporanea di vita che definisce la nostra capacità di esistere e di prenderci lo spazio che riteniamo necessario.

Grazie a: Little Fun Palace, Filippo, yún (云), Anna, Veronica, Chiara, Lucrezia, Giacomo, Giacomo, Bea, Flavia, Andy, Ines, Maria Isidora, Prathima, Mikael, Jo, Giulia, May, Gianni, Sarah, Lilian, Job, Lucia, Stefano, Martina, Rosario, Prinoth, Michael e al Sas de Pütia.