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MiTo SettembreMusica: intervista a Mario Brunello

Protagonista, insieme al suo violoncello, di tre diversi concerti per l'edizione 2016 di MiTo, Mario Brunello porta il suo suono caldo e ricercato dappertutto: dalle montagne alle sale dei concerti, intervista a un musicista decisamente fuori dagli schemi.

Scritto da Anna Girardi il 2 settembre 2016
Aggiornato il 9 settembre 2016

Anticonvenzionale, dal suono ricercato, caldo, meraviglioso. Intraprendente e molto attivo, Mario Brunello porta la sua musica – e il suo violoncello, un prezioso Maggini del Seicento appartenuto a Benedetto Mazzacurati – dappertutto: in montagna, nel deserto, in fabbrica, perché «L’arte non può rimanere confinata fra le mura di teatri e musei, ma deve arrivare nella vita di tutti, deve essere più democratica». Ecco quindi i concerti in quota con I Suoni delle Dolomiti o il progetto Antiruggine, grazie al quale un’antica fabbrica in cui si lavorava il ferro è stata nuovamente adibita dal 2007 a sala da concerto, divenendo uno spazio libero da legami con sponsor o istituzioni che si propone di favorire l’incontro tra la grande musica e la gente comune.

Coerente con le sue scelte e il suo percorso, dopo gli appuntamenti estivi in alta quota Mario Brunello arriva a Milano e Torino con tre programmi per la stagione di MiTo SettembreMusica del tutto personali: “Paternità condivise” – 4 e 5 settembre –, “In viaggio con Mario Brunello” – 7 e 8 settembre – e “La voce degli archi” – 18 e 19 settembre. L’abbiamo intervistato per saperne di più…

ZERO: Nel mese di settembre hai tanti appuntamenti per MiTo: ho visto che sono programmi molto personali, li hai proposti tu a Nicola Campogrande?
MARIO BRUNELLO: Sì, lui mi ha dato un’indicazione, mi ha proposto una formula che assomigliasse ad Antiruggine, che lui conosce e che io faccio da tempo. Voleva degli appuntamenti che fossero un po’ informali e soprattutto mi è piaciuta l’idea di gestire uno spazio completo e che si cercasse di andare un po’ fuori dagli schemi; questo funziona molto con l’idea di Antiruggine. Quelli per MiTo sono tre concerti tutti molto legati tra loro… Il secondo è una conseguenza del primo e il terzo del secondo. Il primo è quello un po’ più completo, è quello che più dà l’idea musicale, il secondo dà bene l’idea di come intendo il mestiere del musicista e il terzo è la condivisione della materia musicale.

Hai già collaborato con i musicisti che ti accompagneranno nel terzo concerto, “La voce degli archi”?
Sono persone che conosco ma con le quali in realtà non ho mai collaborato, tranne la violista Ula Ulijona con la Kremerata Baltica; con il primo violino ho un bel legame. I giovani non li conosco, i cantanti solo di fama, ma è normale, fa parte del nostro lavoro: i festival hanno anche questo compito, mettere insieme musicisti che non hanno mai collaborato, proprio perché si conoscano e nascano nuove idee e progetti per il futuro. I festival sono come degli estrattori di idee.

Ne “La voce degli archi” fate cantare, respirare e vibrare gli strumenti come fossero voci umane, cosa che tu fai molto anche con l’esecuzione delle Suite di Bach. Come sei arrivato a questo lavoro così approfondito?
Sono cresciuto con una frase che mi è sempre stata ripetuta: il violoncello è come la voce umana. Adesso cerco di metterlo in pratica. Ne “La voce degli archi”, in cui un sestetto si trasforma tra voci e strumenti ad arco, si vuole proprio dire questo: far musica con gli strumenti ad arco – ma con qualsiasi strumento in realtà – è sempre un cantare. Bisogna che l’espressione umana, il canto, venga fuori; dal compositore, dalle composizioni, dai musicisti. Quest’idea mi segue un po’ in tutta la musica che faccio. Certo, non è stato un approccio immediato questo del canto, sicuramente prima sono passato da quello strumentale, poi da quello analitico, poi dal lato musicologico… A un certo punto è emersa in maniera molto forte la voglia di parlare con le note, senza più avere il sostegno così obbligato delle parole e delle regole della musica – come l’andare a tempo per esempio. Mi piace raccontare attraverso la musica. Non solo, adesso ho in progetto delle Sonate e Partite per violino con violoncello piccol,o per cui ho altre sei composizioni su cui lavorare con questo approccio che mi occuperanno per 30 anni.

Se si parla delle Suite per violoncello di Bach non si può non pensare a Casals. Cosa rappresenta per te?
Il nonno! Bisnonno forse. Casals non mi ha mai colpito per il suono del violoncello, non mi è mai venuto da copiarlo, le sue esecuzioni non mi affascinavano. Però ha sempre rappresentato il numero uno per la sua personalità e il coraggio che aveva in tutti i campi, quello musicale ed extramusicale, e l’acutezza delle sue frasi e anche delle sue interpretazioni. Mi colpiva come solo lui facesse e pensasse certe cose. Però non è un modello, come invece poteva essere Rostropovich che era irresistibile da questo punto di vista.

Se non avessi intrapreso la strada da violoncellista?
Di sicuro avrei fatto qualcosa che avesse a che fare con la montagna. Dico sempre la guardia forestale perché mi sarei iscritto volentieri alla scuola forestale di Feltre.

Mario-Brunello-montagna

La passione per la montagna come è nata?
Dalla famiglia, dal luogo dove vivo, dai luoghi in cui mi portava la famiglia in vacanza… Ho imparato a sciare quasi prima di camminare, ho una casa in mezzo a una pista da sci, abbiamo sempre fatto passeggiate, trekking, è stato molto naturale. Apro il balcone di casa e vedo il Sass De Mura che mi invita ogni giorno.

Ed ecco quindi i “Suoni delle Dolomiti”… Proprio tra montagna e musica, l’aspetto più bello che forse le accomuna di più è il silenzio; cosa ne pensi?
Ma io più che il silenzio – che come dice Cage non esiste – direi che in montagna c’è uno spazio di conquista, c’è il vuoto che non è un limite, anzi, viene sempre voglia di vedere cosa c’è in cima, cosa c’è oltre: questo spazio mi attira molto e lo voglio riempire con la musica perché è rispettoso del suono, nel senso che non lo trasforma e non lo abbellisce come può fare la grande sala da concerto, il grande teatro. Rispetta il tuo suono e lo mette in evidenza in mezzo al silenzio. Questo è veramente l’elemento che mi conquista e che mi piacerebbe diventasse comune a molti musicisti; quando si cerca il proprio suono non è necessaria la bella sala – ovviamente neanche una brutta sala che è una fustigazione, lo spazio asettico è un suicidio; bisognerebbe andare alla ricerca di uno spazio in cui ci sia rispetto per il proprio suono, ci sia cura, contemplazione reciproca.

Sei molto attento alla ricerca timbrica e del colore; nei concerti all’aperto, come quelli dei Suoni delle Dolomiti, questo è più difficile da trasmettere. Qual è il tuo approccio?
Non ci penso più di tanto per varie ragioni che ho scoperto negli anni. Intanto abbiamo le orecchie chiuse per la pressione a causa dell’altitudine e questo è già un fattore che giustifica il fatto che il suono sia diverso, bisogna adattarsi: non bisogna andare in cerca della risonanza quando sono proprio le orecchie che non la possono sentire. E poi mi è capitato di trovare colori assolutamente impensati proprio in quella nudità del suono. Sono tutte perle che arricchiscono il bagaglio di un musicista. Non mi pongo questo problema.

Ricollegandoci a MiTo, anche lì c’è un attento lavoro sui colori…
Sì, il primo programma è proprio una sagra di colori. È molto interessante che tutte queste musiche meravigliose vengano trasformate e ridipinte con colori nuovi come Bach che è stato rivisto da Stokowski e Stravinsky portato dal pianoforte all’orchestra da Wallfish. Poi c’è la nuova composizione di Colla da Brahms che è molto ben riuscita e infine il pezzo di Cassadò, violoncellista un po’ dimenticato ma bravissimo, anche come compositore, che ha avuto il coraggio di immaginarsi una composizione non più dentro un salotto ma dentro un castello pieno di luci e colori… trovo bellissime tutte queste libertà.

E gli altri appuntamenti?
Beh, nel secondo concerto emerge c’è anche tutta l’attenzione e il collegamento con la musica Yiddish; quello di Weinberg è un programma che eseguo abitualmente col violoncello solo. Dopo la mia esperienza in Oriente ho sentito il bisogno di raccontare le storie che ho conosciuto, percepisco la curiosità del pubblico. L’ho fatto anche in Antiruggine quando sono tornato da una tournée: ho raccontato la mia esperienza suonandola e quello che ho visto proiettando le diapositive. Anche se sono solo poche immagini, è talmente spettacolare vedere questa serie di sale una più bella dell’altra che anche il pubblico prova a viaggiare con te e a immaginare le acustiche e queste situazioni così diverse.

MiTo: Milano/Torino… Quale preferisci?
Beh Torino per tante ragioni, anche familiari. Ho studiato lì, ho iniziato a conoscere Antonio Janigro lì, però con Milano ho sempre avuto uno strettissimo rapporto musicale a partire dalla Scala e da tutti i concerti che ho fatto. Torino è più familiare, Milano è più una città dove vado volentieri a suonare, Milano mi ha fatto crescere e a Torino si sta bene.

Zone preferite tra Milano e Torino?
A Milano mi piace molto Corso Garibaldi, forse perché è la strada che facevo per tornare a casa quando lavoravo alla Scala; lì ci sono vari locali, negozi di cui non ricordo i nomi precisi però è una zona viva, che mi piace. Sono legato a quella parte della città. Ultimamente poi ho visto il MUDEC che mi è piaciuto molto e anche tutta la zona lì intorno è bella. Mentre non sono mai rimasto conquistato dai Navigli e da tutta la zona di Porta Genova però ci devo tornare assolutamente. A maggio verrò per la Filarmonica della Scala e coglierò l’occasione per fare un po’ di giri! Torino non ha luoghi un po’ nascosti che bisogna scoprire e conoscere come a Milano: Torino si presenta con palazzi e logge meravigliosi, come dentro alla Reggia di Piazza Castello o Palazzo Reale, ha piazze con giardini, caffè, pasticcerie. Ho anche comprato casa a Torino quindi mi sento un po’ torinese.

E hai qualche posto da consigliarci?
A Torino amo molto i lessi del San Giors, ristorante albergo a Porta Palazzo, mentre a Milano faccio un po’ lo snob: Il Marchesino sotto la Scala.