Ho incontrato Jonathan Uliel Saldanha per la prima e unica volta durante l’edizione di Saturnalia 2017, nell’ormai compianto Macao, dove si stava per esibire con il suo supergruppo HHY & The Macumbas. Un ensemble mutevole, orda di musicisti della scena underground portoghese, dove Kenneth Anger incontrava la dub di Sherwood, le malinconiche marching band portoghesi e le strutture ritmiche del voodoo haitiano. Nel ruolo di uomo dietro il mixer, dub master guardiano dei feedback, Saldanha si assicurava che nulla suonasse allo stesso momento, mai. Prima di quello che sarebbe stato un set rumoroso e complesso da ascoltare – dove il riverbero della stanza centrale dell’ex macello si sarebbe rivelato impietoso per un incastro di poliritmiche serrato e sfidante già infarcito di fantasmi dub e false piste sonore – in fila al banco delle birre scambiavamo due parole su quello che significava nel 2017 interessarsi di entanglement ritmici, musica da trance e composizione ispirata alle diaspore caraibiche. Saldanha mi chiese se avevo letto Metafisiche cannibali di Viveiros de Castro e cosa ne pensassi. Qualunque fosse stato l’esito di quella conversazione tra nerd, ho banalmente avuto la netta sensazione di star parlando con qualcuno che sapeva esattamente che cosa stava facendo.
Come spesso poi succede con la decentralizzazione di Internet, pur scambiandoci i contatti, da quella sera non ci siamo più sentiti. Da banalissimo utente e fan ho solo potuto seguire come, tra una pubblicazione e l’altra, l’interesse a 360° per quel tipo di ricerca lo abbia sorprendentemente ma organicamente fatto entrare in contatto con la contaminazione incontrollabile generata da Nyege Nyege Tapes: un progetto artistico ed etichetta discografica nato in Uganda e con centro a Kampala, interessato a mappare artisti e movimenti di musica underground e outsider music nello stato africano a cavallo tra club e musica sperimentale.
Allargandosi negli anni a tutto il continente africano e oltre (basti pensare all’uscita di Chillin Villains: We Represent Billions dei C.V.E.), Nyege Nyege si è stabilito anche come festival di musica elettronica dove l’Africa incontra l’Europa e l’Asia. Posto che non ho mai creduto in questo tipo di espressioni, vi basti sapere che dagli artisti del roster agli ospiti a Fact Mag, per molti pare sia il miglior festival di musica elettronica del mondo. L’etichetta quindi è diventata molto più che una cellula del tessuto di musica underground transnazionale. Con mire da istituzione globale ha conquistato la maggior parte dei festival, media outlets e radio dal Primavera al Roskilde, da NTS a BBC, da The Wire a NME, diventando una piattaforma per il lancio e lo sviluppo di artisti, progetti e collaborazioni.
Ed è qui che entra in gioco la collaborazione tra HHY e The Kampala Unit, lanciata nel 2020 per l’edizione online del festival normalmente organizzato a Jinja, poi diventata l’uscita Lithium Blast. Un incontro tra Jonathan Saldanha, la trombettista e attivista Florence Lugemwa, il percussionista Omutaba ad un set di percussioni ibride e la speciale partecipazione della Kampala Prison Brass Band. Con un immaginario ossessionato dagli esoscheletri delle autovetture, lo sviluppo contemporaneo della moda acholi e da suoni che potevano arrivare da qualsiasi epoca (ma di certo non la nostra), se questi non vivevano nel 3020 sicuramente sapevano più di molti che cosa significasse provare a fare musica regionale o, come qualcuno dice, tradizionale, nel nostro presente incasinato di scambi transnazionali tra suoni, generi e nuove tecnologie.
Se c’è infatti un aggettivo che descrive a pieno il progetto è: opacità.
Opaco come la rete di generi che formano la band e si intrecciano in nodi disordinati. Un acquitrino scuro e lucente come il riflesso della luna in una pozzanghera piena di benzina. Opaco come il pezzo di litio incandescente che appare sulla copertina del loro disco. Una pietra che pulsa di poteri fisici sconosciuti e terminazioni nervose non-organiche. Nella sua naturalità, l’unica cosa che riesco a pensare è che se questo masso radioattivo continua a restare qui, potrebbe rivelarsi molto pericoloso.
Quello di HHY & The Kampala unit è sicuramente un debutto incendiario. Una spedizione che dalle umide wetlands ugandesi ci spara con propulsione massima all’odore di NOS e terra bruciata in un territorio musicale che senza vergogna fa saccheggio di immaginari tra echi dub, dettami techno, pattern di batterie tradizionali, disastri jungle e riddim dancehall per quella che potrebbe passare tranquillamente per una OST cinematica della guerra degli spiriti di Alice Lakwena tra sci-fi spettrale e messaggi inquietanti.
Lithium Blast è un titolo assolutamente appropriato per questa complessa sinestesia ritmica piena di umori allucinatori e fantascientifici lanciata pochi mesi dopo il live. Tutti i brani sono una magnifica combinazione di brillantezza, inventiva, energia grezza e sensualità viscerale magnificamente scolpita con suoni di marcia ossessionanti, ritmi mutevoli, variazioni e riprese affiancate ad un’elettronica a cascata e ricchissime texture in alta definizione, sempre in technicolor. Nel corso del tempo, l’intensità e la tensione non diminuiscono mai. Un conflitto totale e irrisolvibile tra rottura e stabilità, simulazione digitale e materialità granitica. Questa è sofisticazione, sì, ma una sofisticazione che non toglie mai al punto principale, cioè che il corpo non deve mai fermarsi. Che tu stia ascoltando la musica da un wall of sound o dalla tua copia tarocca degli Earpods, la materia organica colpita dal suono comincia a flettersi e vibrare che tu lo voglia o no.
Se lo dovessi dire con le mie parole – a mia volta rubate a qualcuno più saggio di me – direi solo: preparatevi solo per un po’ di sano Botte.World.